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Orlando, che gran tempo innamorato
fu della bella Angelica, e per lei
in India, in Media, in Tartaria lasciato
aveva infiniti ed immortali trofei,
in Ponente con essa era tornato,
dove sotto i grandi monti Pirenei
con la gente di Francia e della Magna
re Carlo era attendato alla campagna,
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per fare al re Marsilio e al re Agramante
battersi ancora del folle ardire la guancia,
d'avere condotto, l'uno, d'Africa quante
genti erano atte a portare spada e lancia;
l'altro, d'avere spinta la Spagna innanzi
a distruzione del bel regno di Francia.
E così Orlando arrivò quivi puntuale:
ma tosto si pentì d'esservi giunto:
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Che vi fu tolta la sua donna poi:
ecco il giudizio umano come spesso erra!
Quella che dagli esperi ai liti eoi
aveva difesa con sì lunga guerra,
ora tolta gli è fra tanti amici suoi,
senza spada adoperare, nella sua terra.
Il savio imperatore, che estinguere volle
un grave incendio, fu quello che gliela tolse.
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Nata pochi dì innanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugino Rinaldo,
che entrambi avevano per la bellezza rara
d'amoroso desio l'animo caldo.
Carlo, che non aveva tale lite cara,
che gli rendeva l'aiuto loro meno saldo,
questa donzella, che la causa ne era,
tolse, e diede in mano al duca di Baviera;
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in premio promettendola a quello d'essi,
che in quel conflitto, in quella gran giornata,
degl'infedeli più copia uccidesse,
e di sua mano prestasse opera più grata.
Contrari ai voti poi furono i successi;
ché in fuga andò la gente battezzata,
e con molti altri fu il duca prigioniero,
e restò abbandonato il padiglione.
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Dove, poi che rimase la donzella
che essere doveva del vincitore mercede,
innanzi al caso era salita in sella,
e quando bisognò le spalle diede,
presaga che quel giorno essere ribelle
doveva Fortuna alla cristiana fede:
entrò in un bosco, e nella stretta via
rincontrò un cavaliere che a piedi veniva.
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Indosso la corazza, l'elmo in testa,
la spada al fianco, e in braccio aveva lo scudo;
e più leggiero correva per la foresta,
che al palio
rosso il villano mezzo ignudo.
Timida pastorella mai sì presta
non volse piede innanzi a serpe crudo,
come Angelica tosto il freno torse,
che del guerriero, che a piedi veniva, si accorse.
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Era costui quel paladino gagliardo,
figliolo d'Amone, signore di Montalbano,
a cui pure dianzi il suo destriero Baiardo
per strano caso uscito era di mano.
Come alla donna egli drizzò lo sguardo,
riconobbe, quantunque di lontano,
l'angelico sembiante e quel bel volto
che alle amorose reti lo teneva involto.
13
La donna il palafreno addietro volta,
e per la selva a tutta briglia lo caccia;
né per la rara più che per la folta,
la più sicura e migliore via procaccia:
ma pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia cura al destriero che la via faccia.
Di su di giù, nell'alta selva fiera
tanto girò, che venne a una riviera.
Tratto da: Ariosto, Ludovico (1992). Orlando furioso. Introduzione, note e commenti di Marcello Turchi; presentazione critica di Edoardo Sanguineti. Milano: Garzanti. WWW [cit. 10.3.2008]: <http://www.liberliber.it/biblioteca/a/ariosto/orlando_furioso/html/index.htm>
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