Slezská univerzita v Opavě

Francesco d'Assisi – Cantico di frate Sole

Proposta di analisi


La poesia nota come Cantico di Frate Sole oppure Cantico delle Creature colpisce per la sua naturalezza, che sembra derivare da una forma semplice. In realtà dietro al testo c'è un'accurata elaborazione, sia nella disposizione del contenuto che nelle scelte formali, adeguata tanto alle esigenze della cultura medievale quanto alle tecniche dell'arte popolare, cioè alle abitudini dei destinatari.

Nel 1181/2 nacque ad Assisi Giovanni, figlio di un mercante che frequentava la Francia, dove aveva trovato la sua sposa. Per il rapporto tra la sua famiglia e la Francia, il giovane Giovanni viene chiamato anche "Francesco" 'il francese', nome con il quale divenne famoso.

Francesco visse prevalentemente nei dintorni di Assisi, dunque in Umbria, ma predicò anche in altre regioni d'Italia, visitò la Spagna, la Terrasanta e l'Egitto. Si incontrò con il papa e con il sultano dell'Egitto.

Fu allevato come i giovani mercanti di allora, perciò imparò la grammatica (cioè a leggere e scrivere in latino). Fece parte dell'esercito cittadino, partecipò a una guerra contro Perugia durante la quale fu fatto prigioniero. Andando nelle Puglie con un esercito pontificio si ammalò e, guarito, decise di dedicarsi a una vita di preghiera lontano dai beni materiali, in mezzo alla natura.

Dopo alcune difficoltà iniziali per ottenere l'approvazione papale, fondò l'ordine dei frati minori e quello delle clarisse. Nei primi tempi (ma non solo), i francescani incontrano problemi con le autorità e spesso vengono uccisi o imprigionati.

Nel 1226 Francesco, ormai cieco, morì ad Assisi.

Scrisse quasi esclusivamente in latino: regole monastiche, esortazioni, lettere, preghiere. Ci sono arrivate due sue opere in volgare umbro: il Cantico di Frate Sole (Canticum fratris Solis vel Laudes creaturarum, Laudes de creaturibus, Cantico delle creature) e l'esortazione Audite, poverelle.

L'Umbria in quel periodo vive l'epoca comunale. Nelle città è emersa un'aristocrazia mercantile, che si è impadronita di privilegi prima riservati alla nobiltà (portare le armi) o al clero (la cultura scritta).

I borghesi vogliono partecipare alla vita politica: con i feudatari concorrono i comuni. Vogliono partecipare attivamente alla vita religiosa: nascono i movimenti pauperistici.

Francesco ricevette un'istruzione corrispondente al suo ceto sociale. Avendo la madre occitana, era bilingue: "Infatti, ogni volta che egli era colmo dell'ardore dello Spirito Santo, parlava occitano, sputando fuori parole ardenti, [...]" (Semper enim cum ipse ardore Sancti Spiritus repleretur, ardentia verba foris eructans gallice loquebatur, [...] – 2Cel 13).

Francesco scrisse il Cantico per tutti gli abitanti della zona in cui visse, senza distinzioni sociali. Lo dimostrano l'uso del volgare umbro, la scelta lessicale ed altri aspetti formali.

Secondo l'interpretazione letterale, Francesco si rivolge al dio cristiano. Nell'ultimo distico usa la seconda persona plurale; quindi si rivolge a tutta la gente. 

La poesia è scritta in volgare umbro del XII-XIII secolo, si tratta di una prosa ritmica assonanzata. Sebbene non ci sia rimasta nessuna annotazione musicale, possiamo ritenere che la composizione fosse destinata ad essere cantata.

Il dio cristiano ha dato la natura agli uomini, che perciò lo devono lodare e godersi la natura. Anche il dolore e la morte sono fenomeni naturali, cioè vengono dal dio cristiano. Chi soffre deve pensare al bene ed evitare il peccato, perché la morte lo porterà alla gioia eterna.

Scrivendo la poesia, Francesco vuole esortare la gente comune a vivere secondo la dottrina cristiana, ma vuole anche mostrare che il dio cristiano dimostra una grande generosità. Francesco stesso vuole lodare il suo dio, pur essendo sofferente a causa della malattia.

Il Cantico ha un successo larghissimo ed è noto in tutto il mondo non tanto per il suo contenuto religioso, quanto per l'intelligente ricorso a un lessico immediato e per il ragionamento svolto in maniera essenziale, riferendosi a elementi dell'esperienza comune a tutta l'umanità. Il filologo non può non apprezzare l'abilità dell'autore nell'utilizzare un linguaggio "vergine", come l'umbro di quell'epoca, senza il timore di inserire elementi latini e provenzali, che non minacciano l'immediata comprensione del testo.

Bibliografia, riferimenti

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