Università della Slesia, Opava

Appunti di teoria della letteratura

Indice

Etimologia

I.i: La parola italiana letteratura deriva dal termine latino lĭtteratūra. In ogni caso non ne è un'evoluzione meccanica: la 'i' breve atona latina dovrebbe restare normalmente 'i' anche in toscano. La parola italiana è, allora, la conseguenza di una contaminazione dal tosc. léttera < lat. lĭttĕra (regolare, perché la 'i' breve latina tonica solitamente dà una 'é' toscana; la pronuncia più diffusa oggi, lèttera, ha subito a sua volta una contaminazione dal participio lètto – DEI, sub v. léttera; Dop, sub v. lettera).

I.ii: In realtà, già la formazione della parola in latino risulta anomala. Il suffisso -ura serve normalmente a formare sostantivi deverbali, ma in latino non esiste un verbo *littero, litterare. Quintiliano (vissuto circa dal 35 al 96 d.C.) conferma l'origine anomala del termine; infatti, ci dice che il termine latino è un calco sul gr. grammatiké (Marcus Fabius Quintilianus, Institutio oratoria, II,I,4). Già prima di Quintiliano ne attribuivano l'uso nel senso della parola greca a Varrone (vissuto dal 116 al 27 a.C. – Wilmanns 1864:99-100; Terentius Varro 1910:227 fr. 107 ).

I.iii: La grammatiké (tékhne) era per i greci "la professione delle lettere", cioè l'insieme delle conoscenze necessarie per produrre testi scritti e l'attività stessa di scrivere testi. Tra le conoscenze necessarie per scrivere, c'era anche la conoscenza delle opere letterarie scritte fino a quel momento.

I.iv: Dunque, fin dall'inizio il termine ha due accezioni principali: l'attività dello scrivere e la cultura dello scrivere. I romani aggiungeranno una terza accezione: i prodotti dell'attività dello scrivere, tanto i testi pratici quanto i testi artistici. Per il toscano la prima attestazione del termine è del XIII secolo ed ha il significato di "scrittura". Dal XIV secolo è attestato il significato di "cultura scritta, conoscenze trasmesse dai libri". Fino allora, dunque, continua sostanzialmente il concetto nato nell'Antichità.

I.v: Una nuova accezione, probabilmente proveniente dalla Francia, compare nel XVII secolo. Allora si cominciò a parlare di letteratura come arte di creare testi con un importante valore estetico e come competenza nel saperli apprezzare; questo concetto arrivò a piena maturazione nella seconda metà del XVIII secolo (Arbor Aldea 2003:3-4). Questa è l'accezione più comune oggi, quella più vicina al nostro modo di trattare i testi artistici. Eppure non dobbiamo dimenticare, studiando le opere del passato, che per molti secoli non esistette il nostro concetto di letteratura.

(DEI, sub v. letteratura.)

Gli inizi della tradizione europea

II.i: Abbiamo definito la letteratura come arte di creare testi con un importante valore estetico e come competenza nel saperli apprezzare. Nell'Europa del XXI secolo tali testi nascono generalmente in forma scritta e sono destinati alla lettura individuale (con l'importante eccezione delle canzoni e del teatro). Non si tratta di una situazione diffusa: la maggioranza delle civiltà umane crea i testi letterari (cioè dotati di valore estetico) come forme orali. Il discorso vale tanto considerando la diffusione geografica quanto ripercorrendo la storia delle numerose civiltà dell'uomo.

II.ii: Dunque le diverse concezioni letterarie sono legate alle singole civiltà: per esempio, la letteratura scritta è tipica solo di poche civiltà. Per capire la letteratura italiana, è importante conoscere come nella storia se ne è formata la concezione. Infatti, non solo la letteratura italiana copre un periodo di un millennio, ma – come tutte le letterature europee – è anche il proseguimento di una tradizione letteraria cominciata più di tremila anni fa sulle coste del mare Egeo e del mare Ionio.

II.iii: I testi letterari scritti presenti da più secoli nella cultura europea sono i poemi omerici: l'Iliade e l'Odissea. L'origine dei due poemi è molto discussa, qui riportiamo la posizione espressa da Raffaele Cantarella (Cantarella 1978:13-17). Secondo il celebre filologo, i testi che abbiamo rispecchiano la versione scritta ad Atene nel VI secolo a.C., ma dobbiamo ipotizzare che fossero nati in Ionia già nel IX secolo. Ciò significa che per i primi tre secoli la trasmissione dei poemi fu orale, pur non potendo noi escludere che esistesse un numero insignificante di esemplari scritti. In Italia, per esempio, troviamo riferimenti ai poemi omerici nelle ceramiche di Ischia già nell'VIII secolo.

II.iv: In realtà, anche se ne ipotizziamo la composizione nel IX secolo, il contenuto dei poemi e alcuni elementi linguistici ci dicono che i due poemi rielaborano materiali molto più antichi, risalenti anche all'epoca micenea (Cantarella-Scarpat 1981:120-122). Quindi possiamo concludere che i poemi omerici segnano il passaggio alla scrittura di un'arte letteraria che si era sviluppata per quasi un millennio in forma orale.

II.v: Troviamo tracce di questo lungo periodo di oralità nell'Iliade e nell'Odissea? Certamente: ne troviamo delle tracce importanti. Innanzitutto i poemi ci presentano tra i personaggi alcuni poeti e le loro prestazioni. Dal testo ricaviamo che c'erano dei letterati professionisti, i rapsodi, che vivevano cantando i poemi epici alle corti dei principi achei. L'arte dei rapsodi consiste nel riprodurre dei poemi epici composti in precedenza e nell'improvvisare delle poesie. La riproduzione richiede un utilizzo ottimale della memoria, ma anche l'improvvisazione poetica presuppone il dominio di una tecnica compositiva.

II.vi: Gli strumenti principali che aiutano la memoria e l'inventiva del rapsodo sono la metrica e le formule epiche. La metrica greca si basa sull'alternanza di sillabe brevi e sillabe lunghe. Quindi, le parole che pronuncio devono incastrarsi nello schema previsto dal verso; ciò aiuta a mettere le parole nell'ordine giusto e aiuta a ricordarsi serie di parole. Anzi, in alcuni casi il rapsodo impara blocchi di parole – le formule – per indicare un personaggio o un avvenimento che ricorre nel testo, così ha già una parte del verso, se non un verso intero, già preconfezionato.

II.vii: Dunque la forma nella poesia orale ha un'importante funzione mnemonica, ma sarebbe sbagliato pensare che quella sia la sua unica funzione. La metrica ha sicuramente un valore estetico: l'alternanza di ritmi più veloci con ritmi più lenti, unita agli effetti dati dai diversi accenti melodici del greco, possono commentare e sostenere la narrazione.

II.viii: Questo valore estetico è evidente nella lettura ad alta voce di un testo. A questo proposito, non dobbiamo trascurare che fino all'Umanesimo non è diffusa la lettura individuale in silenzio (Manguel 1997). Nell'Antichità e nel Medio Evo si conosce solo la lettura ad alta voce. Non solo: poche persone sanno leggere. Perciò la maggioranza dei fruitori della letteratura non la leggono, ma la ascoltano. Tra l'altro, non ascoltano necessariamente una lettura: spesso i testi vengono recitati a memoria anche dopo la nascita della letteratura scritta. I manoscritti, infatti, sono rari, perché il materiale per scrivere costa caro ed è pesante e ingombrante da trasportare nei viaggi.

II.ix: La metrica, dunque, si trova anche dopo la nascita della letteratura scritta e non solo come elemento che continua la tradizione orale precedente. Per esempio la troviamo nelle opere del primo scrittore realmente vissuto del quale abbiamo notizia: Esiodo (vissuto in Beozia nell'VIII secolo a.C.). È interessante rilevare come a quell'epoca l'unica letteratura esistente fosse in metrica: Esiodo è un poeta didascalico. Le opere e i giorni e la Teogonia sono delle "enciclopedie" in poesia. Il metro è lo stesso di Omero: l'esametro dattilico.

Forma, modelli, originalità

III.i: Abbiamo visto che la metrica ha una funzione mnemonica nella letteratura orale, ma che contribuisce pure al valore estetico dell'opera. Il valore estetico acquisisce importanza con il passaggio alla forma scritta, che sminuisce l'importanza della memorizzazione del testo, ma resta ugualmente legata alla riproduzione del testo ad alta voce. Oggi prevale nettamente la lettura individuale in silenzio, eppure la metrica non è scomparsa. Scomparsa la componente acustica, prevale quella visuale: oggi la divisione in versi è soprattutto un elemento grafico, ma è quasi impossibile immaginare una poesia senza la suddivisione tipografica in versi, anche se non si usa più la rima e i versi sono di differenti misure.

III.ii: Difatti ormai la distinzione più evidente tra prosa e poesia sta proprio nell'uso del verso tipografico per la pubblicazione delle poesie. Finora abbiamo parlato solo di poesia, perché realmente i più antichi testi letterari arrivatici sono poetici. Naturalmente è verisimile che fin dalle origini esistesse la prosa: celeberrimi sono i miti dell'antica Grecia e non c'è motivo per ritenere che non venissero raccontati in forma prosaica.

III.iii: Dunque già alle origini troviamo queste due forme di base, la prosa e la poesia; proviamo ora a chiarirci i due concetti mettendoli a confronto. Viene spontaneo associare l'idea della poesia alla presenza della metrica. Sicuramente è un carattere molto frequente per i testi poetici, ma – soprattutto al giorno d'oggi – sono parecchie anche le poesie non in metrica. La metrica, poi, non è nemmeno esclusiva della poesia, poiché abbiamo molti esempi di prose ritmiche e di altre prose che utilizzano clausole metriche.

III.iv: La metrica è un aspetto formale, forse ci può aiutare di più a distinguere la poesia dalla prosa un ragionamento basato sul contenuto. Se pensiamo a come riportare una vicenda complessa con molti personaggi, più facilmente penseremo a scrivere un romanzo, dunque una prosa. Ma potremmo anche rivolgerci alla poesia e comporre un poema epico.

III.v: Potremmo applicare diversi criteri formali o di contenuto; chi ci ha provato prima di noi è arrivato alla conclusione che, sebbene ci siano degli elementi più frequenti nella poesia ed altri più tipici della prosa, non ci sono importanti caratteri esclusivi dell'una o dell'altra. In realtà la differenza sta nel diverso atteggiamento con il quale ci avviciniamo ai testi di una categoria formale rispetto a quelli che appartengono all'altra. La prosa richiede un'interpretazione basata soprattutto sulla ragione, mentre la poesia attiva principalmente la fantasia, l'immaginazione (Ceserani-De Federicis 1978-1988, vol. 10, pp. 89-90).


III.vi: Parlando di metrica, di prose ritmiche, di clausole metriche, di romanzo, di poema epico, sostanzialmente abbiamo fatto riferimento a dei modelli. La tradizione letteraria italiana fa riferimento a dei modelli. Trattando l'etimologia della parola "letteratura" abbiamo detto che essa significa "l'attività dello scrivere" nonché "la cultura dello scrivere" (§I.iv). La cultura dello scrivere è strettamente legata al confronto con la produzione letteraria già esistente, e questo confronto ha bisogno di termini di paragone, ha bisogno di modelli che costituiscano una base comune.

III.vii: Il campo della letteratura in cui la presenza di modelli è più evidente è la metrica, ma non è l'unico dove li troviamo. Anche nella lingua ce ne sono. Innanzitutto la lingua utilizzata per la letteratura, la lingua letteraria, è un insieme di modelli. Essa è codificata in tutti i suoi aspetti: sintassi, morfologia, scelte lessicali, ortografia. Frequentemente, poi, alcuni generi letterari richiedono una certa varietà linguistica.

III.viii: Ritorniamo alla letteratura greca, per esempio. Nell'antica Grecia si usavano più dialetti letterari (codificati, cioè, non semplici dialetti locali). I poemi omerici erano in ionico, la lirica monodica era scritta in eolico, la lirica corale in dorico. Nella prosa prevaleva l'attico (elaborato a partire dalla parlata di Atene). Un'interessante combinazione è rappresentata dal teatro: la lingua dei dialoghi della commedia e della tragedia è l'attico; il teatro greco, però, oltre ai dialoghi presenta degli intermezzi in cui interviene il coro, che si esprime in dorico (perché, come abbiamo appena visto, la lirica corale va composta in dorico). Quindi lo stesso autore, nello stesso pezzo teatrale, scriveva una parte in attico e un'altra in dorico, indipendentemente da come era abituato a parlare lui nella vita quotidiana.

III.ix: L'alternanza delle varietà linguistiche a seconda del genere non è una peculiarità dell'antica Grecia. (Magna Grecia inclusa. Non dimentichiamo che alcuni greci illustri erano italiani: Archimede, Parmenide, Zeusi; altri vissero in Italia: Pitagora, Platone, Pindaro). Diverse lingue si usano anche nelle opere letterarie italiane dal Medio Evo a oggi. Tra le prime opere letterarie medievali dell'Italia (XI-XIII secolo), la maggioranza è scritta in langue d'oïl o in langue d'oc. In langue d'oïl si scrivono i poemi cavallereschi e la prosa, in langue d'oc la lirica.

III.x: Molto importante è ricordarsi che la letteratura latina in Italia non muore con la caduta di Roma. Le ultime lezioni universitarie in lingua latina si tennero nel XIX secolo (nei seminari cattolici almeno fino alla seconda metà del XX secolo). I più grandi scrittori italiani sono in genere anche autori di testi latini: Francesco d'Assisi, Dante, Petrarca, Boccaccio, Poliziano, Ariosto, Pascoli. Alcuni di essi sono tra i più grandi scrittori latini, alcuni scrivono le loro opere migliori in latino, riservando l'italiano alle opere minori (cioè per certi generi letterari usano il latino, per altri l'italiano). I loro testi ispirano opere in altri campi dell'arte, spesso vengono musicati (per esempio lo Stabat Mater attribuito a Iacopone da Todi, diffusissimo fino a oggi). Ancora oggi in Italia ci sono poeti che compongono in latino.

III.xi: A completare il panorama delle lingue letterarie in uso in Italia, bisogna tenere presente che c'è una ricchissima letteratura (poesia e teatro in particolare) che si esprime nelle varietà locali. Alcune di esse, come il veneziano, il napoletano, il milanese, il genovese, il siciliano eccetera, sono state elaborate e rappresentano una vera e propria lingua letteraria.


III.xii: Abbiamo visto che i modelli sono una componente fondamentale della cultura letteraria, ora esaminiamo il loro ruolo nell'attività scrittoria. Confrontando prosa e poesia abbiamo ipotizzato che uno scrittore voglia riportare una vicenda complessa con molti personaggi (§III.iv). Tale scrittore si trova davanti alla scelta tra alcuni generi (cioè modelli), tra i quali abbiamo citato il romanzo e il poema epico, ma così non abbiamo esaurito le alternative. Per esempio potrebbe decidere di scrivere un giallo.

III.xiii: È importante rendersi conto che i modelli letterari non sono un limite alla creatività dello scrittore e che tanto meno l'autore si limita a una passiva applicazione di modelli preconfezionati. L'originalità di uno scrittore si riconosce anche nella capacità di scegliere i modelli (linguistici, stilistici, di genere eccetera) più adatti a ciò che vuole esprimere e nella capacità di sfruttarli per valorizzare il suo progetto letterario.

III.xiv: Un bell'esempio di scelta di genere è il giallo Il nome della rosa (Eco 1980). Nel libro troviamo un'enorme quantità di riferimenti a diversi aspetti delle scienze umane, che l'autore sparge nel libro un po' come gioco intellettuale, ma pure come stimolo a cercare, ragionare, chiarirsi le idee sul significato della cultura umanistica. Umberto Eco avrebbe potuto scrivere un saggio (o alcuni saggi), così come aveva già fatto con grande successo, eppure sceglie il giallo, il genere letterario che più di tutti invita a cercare, ragionare, chiarirsi le idee sui comportamenti dell'uomo.

III.xv: Dunque lo scrittore si trova davanti a delle scelte nelle quali un'alternativa esclude le altre. Se scrivo un romanzo oppure un giallo, non scrivo un poema epico. Sono, allora, delle scelte compiute su un asse paradigmatico, lungo il quale un'alternativa esclude tutte le altre. Lo scrittore compie anche scelte lungo un asse sintagmatico, cioè sceglie degli elementi che si combinano uno con l'altro.

III.xvi: Riprendiamo l'esempio del giallo: un giallo richiede una serie di elementi che devono essere combinati secondo un preciso ordine lineare.

  1. Generalmente all'inizio di un giallo viene scoperto un crimine.
  2. Quindi viene chiamato un investigatore.
  3. L'investigatore conduce delle indagini e progressivamente si presentano diversi personaggi. Gradualmente l'investigatore trova degli indizi, cosicché il lettore comincia a sospettare di qualcuno dei personaggi.
  4. Alla fine l'investigatore scopre il colpevole e, magari davanti a tutti i personaggi principali riuniti in una stanza, racconta come si è svolto il crimine. La ricostruzione si basa sugli indizi sparsi nel libro.
  5. Alla fine viene rivelata l'identità del colpevole (che in genere non è quello che sospettava la maggioranza dei lettori).

III.xvii: Questa è la trama minima di un giallo. L'ordine degli elementi deve essere esattamente questo. Semplicemente si possono aggiungere altri elementi. Per esempio, si può cominciare con la descrizione del crimine, anche se il lettore non può ancora sapere chi è il colpevole. L'investigatore può essere un poliziotto ed avere dei problemi con i suoi superiori; può anche essere un investigatore privato, che ha dei problemi con la polizia che conduce le proprie indagini in parallelo. Il colpevole può cercare (durante la fase numero 3) di uccidere l'investigatore. Sempre durante la fase 3 ci possono essere altri crimini. Eccetera, eccetera.

III.xviii: Tutti questi elementi vengono combinati uno dopo l'altro con un certo ordine lineare. Se il punto 5 venisse subito dopo il punto 1, non si tratterebbe più di un giallo. Il lettore sarebbe deluso, perché si aspetta che il colpevole venga rivelato soltanto alla fine. Questo è un altro fattore importante: il lettore si aspetta qualcosa. I generi, come gli altri modelli letterari, sono noti non solo all'autore, ma anche al lettore. Esiste, allora, una certa aspettativa del lettore. Si può dire che lo scrittore, scegliendo il genere, sceglie anche il pubblico. In fondo ne abbiamo parlato anche a proposito della distinzione tra prosa e poesia: nella prosa il lettore sa di dover applicare le proprie facoltà razionali, nella poesia il lettore attiva la propria immaginazione (§III.v).

III.xix: Ricapitolando, uno scrttore che appartiene a una certa letteratura compie una serie di scelte tra diverse alternative paradigmatiche e congiunge diversi elementi creando una certa combinazione sintagmatica. La sua originalità sta in queste scelte e nella creazione delle loro combinazioni; gli scrittori più bravi sono quelli che riescono a sfruttare i modelli scelti in modo da trasformarli in strumenti adatti ad esprimere il proprio messaggio. La scelta del genere è fondamentale perché il lettore sappia con quale attegiamento avvicinarsi all''opera.

I testi come strutture

IV.i: Nel capitolo precedente abbiamo utilizzato un concetto tipico dello strutturalismo: l'opposizione tra asse sintagmatico e asse paradigmatico. Non è l'unica applicazione possibile dello strutturalismo alla letteratura, anzi: le teorie del Circolo Linguistico di Praga, il gruppo di studiosi che ha portato a maturazione l'approccio strutturalistico, hanno prodotto alcuni degli indirizzi di analisi letteraria più diffusi a livello mondiale a partire dalla seconda metà del XX secolo.

IV.ii: Il concetto più importante per il nostro discorso è quello che il linguaggio umano è composto di diverse strutture. La loro combinazione a livello sintagmatico crea delle nuove unità, che a loro volta si uniscono creando nuove unità di livello superiore. Gli studiosi possono analizzare le unità superiori e percorrere il cammino inverso, cioè scomporre i livelli superiori per arrivare a quelli inferiori.

IV.iii: Prendiamo per esempio la parola italiana "portamelo". Confrontandola con altre espressioni simili (portamene, portaglielo, portatemelo) individuo tre unità: porta + me + lo.

IV.iv: Posso dividerle ancora? Accanto a "porta" metto: parla, guarda, porterò, portate, porti; arrivo così alla suddivisione: port + a. Accanto a "me" metto: mi, mio; arrivo così alla suddivisione: m + e. Accanto a "lo" metto: la, li, le; arrivo così alla suddivisione: l + o. Dunque: [(port+a)(m+e)(l+o)].

IV.v: Posso ancora scomporre la parola in fonemi (/p-o-r-t-a/), fino ad arrivare alle unità minime della fonologia: i tratti distintivi. Così  posso anche inserire la parola in un testo più vasto: "Dov'è il sale? Portamelo!".

IV.vi: L'esempio che abbiamo esaminato era relativo alla linguistica; infatti lo strutturalismo è maturato proprio in campo linguistico, perché nell'analisi linguistica le sue potenzialità sono particolarmente evidenti. La scomposizione in unità di livello inferiore si trova comunque anche in letteratura.

IV.vii: Accenneremo ora al metodo elaborato dal formalista russo Boris Tomaševskij. Egli presuppone che ogni testo abbia almeno un tema, il quale si può suddividere in temi di livello inferiore fino ad arrivare a unità indivisibili: i motivi.

IV.viii: Prendiamo in esame, ad esempio, la leggenda della migrazione dei croati bianchi guidati da Boemo. Il tema della leggenda è l'insediamento degli antenati dei boemi. Se proviamo a suddividerlo individuiamo quattro temi:

  1. Nel paese dei Croati Bianchi c'è una grande sovrappopolazione.
  2. Boemo assume la guida di un gruppo che si mette in viaggio, attraversa foreste e montagne, combatte con popolazioni ostili.
  3. Arrivano a un monte, su cui Boemo, dopo aver depositato i lari ai suoi piedi, sale.
  4. Boemo scende dal monte e annuncia di aver trovato la terra promessa.

IV.ix: Procediamo alla suddivisione:

  1. Nel paese dei Croati Bianchi c'è una grande sovrappopolazione.

    1. Boemo assume la guida di un gruppo.
    2. Il gruppo si mette in viaggio.

      1. Attraversa foreste e montagne.
      2. Combatte con popolazioni ostili.

    1. Arrivano a un monte.
    2. Boemo deposita i lari ai piedi del monte.
    3. Boemo sale sul monte.

    1. Boemo scende dal monte.
    2. Boemo annuncia di aver trovato la terra promessa.

IV.x: Se guardiamo ora le relazioni che ci sono fra i vari elementi tematici, vediamo che sono legati da rapporti causali-temporali. I testi i cui temi sono legati da rapporti causali-temporali vengono chiamati testi con fabula. Tali sono i romanzi, i racconti, le memorie, i poemi epici. Senza fabula possono essere, per esempio, i testi lirici.

IV.xi: La fabula può coincidere con la trama di una narrazione. È così quando la narrazione espone i diversi avvenimenti nell'ordine temporale nel quale si sono svolti, come nella leggenda di Boemo. Non è sempre così, però. Se ritorniamo al nostro discorso sul giallo, la fabula dovrebbe essere questa:

  1. Si svolge un crimine.
  2. Il crimine viene scoperto.
  3. Quindi viene chiamato un investigatore.
  4. L'investigatore conduce delle indagini e progressivamente si presentano diversi personaggi. Gradualmente l'investigatore trova degli indizi, cosicché il lettore comincia a sospettare di qualcuno dei personaggi.
  5. Alla fine l'investigatore scopre il colpevole e, magari davanti a tutti i personaggi principali riuniti in una stanza, racconta come si è svolto il crimine [= 1]. La ricostruzione si basa sugli indizi sparsi nel libro.
  6. Alla fine viene rivelata l'identità del colpevole (che in genere non è quello che sospettava la maggioranza dei lettori).

IV.xii: Se andiamo a rivedere l'ordine della narrazione nel giallo (§III.xvi), però, troviamo che il punto 1 non esiste ed è sostituito dal punto 5. Allora in una narrazione possiamo riconoscere un ordine naturale degli avvenimenti come qua sopra, quello che chiamiamo "fabula", che non sempre coincide con l'ordine di esposizione degli elementi nel racconto (come nello schemadi § III.xvi), quello che chiamiamo "intreccio".

IV.xiii: Sebbene lo strutturalismo nasca appena nel XX secolo, alcuni metodi che scomponevano in parti le trame delle narrazioni sono precedenti. Tuttora valida è la scomposizione in parti dell'intreccio della tragedia classica greca fatta da Aristotele. All'inizio c'è la descrizione della situazione di partenza: l'esordio. Quindi segue un evento o una serie di eventi che creano una situazione di tensione: la complicazione. A un certo punto succede qualcosa che cambia la situazione e che risolve la situazione (in maniera positiva oppure negativa): la peripezia. La tragedia si conclude con lo scioglimento della tensione e con l'instaurazione di una nuova situazione: la catastrofe. Il momento in cui culmina la tensione viene chiamato "crisi" o con un termine tedesco "Spannung".

IV.xiv: Lo schema di intreccio descritto da Aristotele non si applica solo alle tragedie greche. Lo possiamo applicare anche alla leggenda di Boemo (§IV.viii):

  1. esordio = Nel paese dei Croati Bianchi c'è una grande sovrappopolazione.
  2. complicazione = Boemo assume la guida di un gruppo che si mette in viaggio, attraversa foreste e montagne, combatte con popolazioni ostili.
  3. peripezia = Arrivano a un monte, su cui Boemo, dopo aver depositato i lari ai suoi piedi, sale.
  4. catastrofe = Boemo scende dal monte e annuncia di aver trovato la terra promessa.

Bibliografia

Giorgio Cadorini --- giorgio (ad) cadorini (punto) org --- GSM +420-732.466.543