Slezská univerzita v Opavě

Rustichello da Pisa – Marco Polo

Milione

Rusticien de Pise, Divisament dou monde (???), Livre des merveilles (???)

Frammenti in francese

Alcuni passi in langue d'oïl sono riportati in questo saggio:

Barbieri, Alvaro (2000). «Il popolo degli arcieri: l'organizzazione militare e le tecniche di combattimento dei Mongoli nel libro di Marco Polo». Annuario. Istituto Romeno di cultura e ricerca umanistica, 2. [Online] WWW [cit. 31.10.2008]: <http://www.geocities.com/serban_marin/barbieri2000.html>.

Sintetizza la questione della stesura e della tradizione del Milione la nota 41:

Come è noto, il viaggiatore veneziano Marco Polo redasse il suo libro in lingua d'oïl, nel 1298, con la collaborazione del letterato Rustichello da Pisa. Sulla complessa tradizione manoscritta dell'opera e sulla questione della redazione primitiva resta fondamentale l'Introduzione anteposta da L.F. BENEDETTO alla sua edizione 'documentaria' del Milione (M. POLO, Il Milione (a cura di L.F. BENEDETTO), Firenze, 1928: xi-ccxxi). Per un quadro di sintesi del problema testuale con rassegna critica degli interventi più recenti mi permetto di rimandare al mio: "Quale «Milione»? La questione testuale e le principali edizioni moderne del libro di Marco Polo", Studi mediolatini e volgari, 42 (1996): 9-46. La relazione di Marco Polo è nota al pubblico italiano come Milione, ma il titolo originario doveva essere Le divisament dou monde, dicitura conservata dal codice più autorevole, il ms. fr. 1116 della Bibliothèque Nationale di Parigi (indicato nella classificazione del BENEDETTO con la sigla F). La versione tràdita da F è quella più vicina alla redazione primigenia, sia nella partizione della materia che nella facies linguistica (un francese mescidato di italianismi morfologici e lessicali); cfr. M. POLO, Milione. Le divisament dou monde. Il Milione nelle redazioni toscana e franco-italiana (a cura di G. RONCHI, introduzione di C. SEGRE), Milano, 1982: 303-662. [...]

Al §5, Barbieri presenta una possibile traccia del racconto di Marco Polo:

I Mongoli, dice il testo poliano, non si vergognano di fuggire e cambiano di continuo direzione girando intorno al nemico: i loro cavalli sono così ben addestrati che se girent cha e l[a] ausi tost com firoit un chien 'si voltano di qua e di là come farebbe un cane [sc. con la sveltezza di un cane]' (per. 24). In questo punto Marco Polo, che aveva trascorso quasi diciassette anni nell'Impero gengiskhanide e conosceva a fondo lingua e usanze dei Mongoli, ha forse ripreso un'espressione tecnica del linguaggio militare: noqai kerel kerejü 'combattere la battaglia del cane' indicava infatti una precisa tattica che consisteva nel ritirarsi e farsi inseguire per poi girarsi all'improvviso attaccando l'avversario spossato e disunito; donde l'immagine della 'battaglia del cane', animale che si volta all'indietro fulmineamente per mordere.

Al §6, invece, Barbieri documenta il contributo di Rustichello:

Si riconosce bene, in questo tessuto di effets de littérature, la 'mano' del collaboratore del Divisament, maestro Rustichello. Questi, prima di retraire nelle carceri di Genova il libro di Marco Polo, aveva già redatto in francese una compilazione di avventure arturiane, nota sotto il titolo di Roman de Meliadus, commissionatagli tra il 1270 e il 1274 dal re Edoardo i di Inghilterra. Confrontando le scene di battaglia del Meliadus con quelle del Divisament si ritrovano, a livello di tessuto discorsivo, gli stessi moduli e le stesse tessere. Ad esempio, si parla del fragore dello scontro ricorrendo alla medesima formulazione iperbolica, magari seguita dall'immagine, anch'essa stereotipata, dei valorosi guerrieri caduti e del dolore inconsolabile delle loro mogli:

or peüst hoïr la crie et la noisse si grant que l'en ne hoïst le Deu tonant (Meliadus, cap. 22, per. 19, p. 238)

or hi peust l'en oir le crier et la remo[t]e si grant que l'en ne oist dieu tonant (Divisament, cap. cxcix, per. 36, p. 615)

La crié e la nose hi estoit si grant, que l'en ne oist le deu tonant (Divisament, cap. ccxxvi, per. 9, p. 652)

La crie et la noisse i estoit si grant que l'en ne hoïst le Deu tonant, car sachiez que la battaille estoit mout cruelz et pesmez, que de male hore fu comenciez, que maintes preudomes hi morent, et maintes dames en seront a toz jorz mais en plores et en lermes (Meliadus, cap. 151, per. 17: 275)

La crié e la nose hi estoit si grant que l'en ne oist le deu tonant: car sachiés que ceste bataille fu de male hore comenciés e por l'une partie et de l'autre, car sachiés que maint prodomes hi morurent e maintes dames en seront a toç jorç mes en plores et en lermes (Divisament, cap. ccix, per. 10: 631)

Anche per le imprese individuali dei personaggi di spicco (re e cavalieri famosi nel Meliadus, sovrani mongoli nel Divisament) Rustichello dispone di un repertorio di espressioni fisse:

Il ne senble pas chevalier, mes foudre et tenpestes (Meliadus, cap. 23, per. 17: 238)

il ne senble homes, mes foudre e tenpeste (Divisament, cap. ccxxvi, per. 17: 653)

Et li roi Artus mostre bien qu'il est home de tenir terre et de porter corone (Meliadus, cap. 179, per. 5: 280)

E le roi Alau [...] la fait si bien en celz bataille qu'il senble bien qu'il est home de tenir terre e de porter corone (Divisament, cap. ccxxvi, per. 14: 652)

E gli esempi si potrebbero facilmente moltiplicare. Anche dai pochi assaggi proposti appare chiaro come la rappresentazione di scontri collettivi, sia nel Meliadus sia nel Divisament, abbia caratteri formali sostanzialmente convenzionali: [...].

L'approccio di Marco

Imperatori e re, duchi e marchesi, conti, cavalieri e borghesi, o voi, chiunque siate, che volete conoscere le varie razze umane e le singolarità delle diverse regioni del mondo, prendete questo libro e fatevelo leggere. Troverete qui tutte le immense meraviglie, tutte le grandi singolarità delle grandi contrade d'Oriente — della Grande Armenia e della Persia e della Tartaria e dell'India e di cento altri paesi — da noi notate con chiarezza e con ordine come le raccontò messer Marco Polo, detto Milione, savio e nobile cittadino di Venezia, per averle vedute coi proprii occhi. Qualcosa vi sarà, è vero, eh'egli non vide: ma gli fu riferita da uomini degni di fede. E siccome daremo le cose viste per viste e le udite per udite, il nostro libro resterà giusto e veritiero, senza nessuna menzogna.


Tratto da: Polo, Marco (1932). Il Libro di Messer Marco Polo: Ricostruito crtiticamente e per la prima volta tradotto in lingua italiana a c. di L.F. Benedetto. Milano-Roma: Treves, pp. 1-2. Riportato in: Ceserani, Remo; De Federicis, Lidia. Il materiale e l'immaginario: Laboratorio di analisi dei testi e di lavoro critico. Vol. 3: La società urbana. Torino: Loescher, 1978-1988, p. 284.

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Gautama

Seilan è una grande isola, come già vi abbiamo narrato in questo nostro libro più sopra. Ora dovete sapere che in quell'isola c'è una montagna, molto alta, dalle pareti così a picco che sopra non vi potrebbe salire nessuno senza quello ch'or vi dirò. Hanno cioè appeso a quella montagna molte grandi catene di ferro, congegnate in modo che la gente può montare su per quelle catene fin sulla vetta. Ora su quella vetta dicono ci sia la tomba di Adamo, il nostro primo padre. Che quel sepolcro sia di Adamo dicono i saraceni; gli idolatri dicono invece che è la tomba di Sagamoni Borcan.

Questo Sagamoni fu il primo uomo di cui sia stato dato il nome ad un idolo. Fu, alla stregua dei loro costumi, l'uomo migliore che mai vivesse tra loro. Fu il primo che venerassero come santo, il primo idolo che abbiano avuto.

Era il figlio di un gran re, ricco e potente. Ma questo figlio di re era di vita sì pia che non voleva occuparsi di nessuna cosa terrena e non voleva essere re. E suo padre, quando vide che suo figlio non voleva essere re, e non si voleva occupare di nessuna cosa di questa terra, ne fu fortemente crucciato. Gli fece delle magnifiche offerte. Gli disse che voleva coronarlo re del reame e farne lui signore assoluto. Voleva cioè lasciar la corona, rinunciare ad ogni comando: ch'egli soltanto ne fosse padrone. Il figlio rispondeva di non voler nulla. E quando il padre vide che costui non voleva per nulla al mondo essere signore, il suo cruccio fu così forte che poco mancò non lo uccidesse il dolore. E non bisogna meravigliarsene: egli non aveva altro figlio all'infuori di quello e non aveva a chi lasciare il reame.

E allora il re agì in questo modo. Decise di fare una cosa che avrebbe, secondo lui, trasformato il figliuolo e gli avrebbe dato il gusto delle cose mondane, il desiderio della corona e del regno. Per opera sua adunque, il figliuolo si vide in un palagio bellissimo: con trentamila donzelle molto belle ed avvenenti ai suoi ordini. Nessun maschio ardiva entrare là dentro: solo vi dimoravano quelle donzelle. Delle donzelle lo mettevano a letto; lo servivano a tavola; gli facevano compagnia ad ogni momento. Esse cantavano e danzavano davanti a lui; gli davano tutto il sollazzo che potevano, conformemente all'ordine ricevuto dal re. Orbene sappiate che tutte quelle donzelle non riuscirono a far sorgere nel figlio del re il più piccolo desiderio carnale; la sua fermezza e la sua castità divennero anzi maggiori.

E faceva una vita piissima, alla stregua dei loro costumi.

E dovete sapere che era tenuto con tanta delicatezza il giovinetto che mai era uscito dal suo palazzo, non aveva mai visto un morto, mai incontrato nessuno che non fosse sano in tutte le membra. Il padre non permetteva che andasse alla sua presenza nessun vecchio, nessun disgraziato. Ora avvenne che cavalcando un giorno in istrada il giovinetto vide un morto. Rimase tutto sgomento, come colui che non ne aveva mai veduto nessuno. Subito dimandò a quelli che erano con lui che cosa ciò fosse; e quelli gli risposero che era un morto. «Come — disse il figlio del re — muoiono dunque tutti gli uomini? ». « Certo », risposero quelli. Non disse allora più nulla il giovinetto e spinse avanti il cavallo tutto pensieroso. Non aveva dopo quell'incontro cavalcato gran che, quando s'abbatté ad un uomo vecchissimo, che non poteva più camminare e non aveva più denti in bocca, avendoli perduti per la grande vecchiezza. Quando il figlio del re vide quel vecchio domandò che cosa fosse e perché non poteva più camminare. E quelli ch'eran con lui gli risposero che non poteva più camminare per la vecchiaia, e che per la vecchiaia aveva perso i denti. Inteso che ebbe ciò che detto gli avevano del morto e del vecchio, il figlio del re se ne tornò al suo palazzo. E risolse di non restare più in questo brutto mondo; decise di andare a cercare colui che non muore mai, colui a cui doveva la vita. Abbandonò pertanto il suo palazzo ed il padre. Se ne andò su monti grandissimi e impervi; e visse là il resto dei suoi giorni molto onestamente e castamente, facendo astinenza grandissima. E certo, se fosse stato cristiano, sarebbe stato un gran santo in compagnia di Nostro Signor Gesù Cristo.

E quando questo figlio del re morì, venne portato al re suo padre. Quando questi lo vide morto, quando vide morto colui che amava più di se stesso, se ne abbia avuto dolore e rabbia uopo non è dimandarlo. Il cordoglio fu grande. Quindi il re fece fare una statua a sua somiglianza, tutta d'oro e di pietre preziose; e volle che tutti i suoi sudditi l'onorassero, la fece adorar come un dio.

E dicono quelli di quel paese ch'egli morì ottantaquattro volte. Credono che quando morì la prima volta sia diventato un bue; che sia poi morto una seconda volta e diventato un cavallo; e così di seguito, per ottantaquattro volte, diventando sempre un animale: un cane ad esempio o altra bestia. Alla ottantaquattresima volta dicono che morì e divenne dio.

È quello per gl'idolatri il dio migliore e più grande che abbiano. E dovete sapere che fu quello il primo idolo che ebbero gl'idolatri: quello da cui discesero tutti gli altri.

E ciò seguì nell'isola di Seilan, in India.


Tratto da: Polo, Marco (1932). Il Libro di Messer Marco Polo: Ricostruito crtiticamente e per la prima volta tradotto in lingua italiana a c. di L.F. Benedetto. Milano-Roma: Treves, pp. 332-335. Riportato in: Ceserani, Remo; De Federicis, Lidia. Il materiale e l'immaginario: Laboratorio di analisi dei testi e di lavoro critico. Vol. 3: La società urbana. Torino: Loescher, 1078-1988, pp. 866-867.

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Da una traduzione in ceco del XV secolo

La nobile città di Chinsai (Hang-Chow):

http://texty.citanka.cz/polo/mil2-61.html


Tratto da: Polo, Marco (1950). Milion. K vydání připravili Quido Hodura e Bohuslav Horák. Praha, ss. 126-129. 

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Bibliografia

  • Barbieri, Alvaro (2000). «Il popolo degli arcieri: l'organizzazione militare e le tecniche di combattimento dei Mongoli nel libro di Marco Polo». Annuario. Istituto Romeno di cultura e ricerca umanistica, vol. 2, pp. 21-38.
  • Bernardini, Michele (2005). «Polo, Marco». Encyclopaedia Iranica Online. Internet (11.11.2008).
    http://www.iranicaonline.org/articles/polo-marco
  • Calvino, Italo (1972). Le città invisibili. Torino: Einaudi. Internet (11.11.2008). http://www.cittainvisibili.com/tuttelecitta.htm
  • Oldřich, Čech z Furlánska (1962). Popis východních krajů světa. Praha: Lidová demokracie.
  • Oldřich, Čech z Pordenone (1998). Cesta do říše velkého chána (1316-1330): Popis východních krajů světa. Praha: Kvasnička a Hampl.
  • Polo, Marco (1928). Il Milione: Secondo la riduzione italiana della «Crusca» riscontrata sul manoscritto arricchita e rettificata mediante altri manoscritti italiani. Bari: Gius. Laterza & figli. Internet (30.10.2007). http://www.bibliotecaitaliana.it/exist/ScrittoriItalia/show-text.xq?textID=mets.si203
  • Polo, Marco (1932). Il Libro di Messer Marco Polo: Ricostruito crtiticamente e per la prima volta tradotto in lingua italiana a c. di L.F. Benedetto. Milano-Roma: Treves.
  • Polo, Marco (1950). Milion. K vydání připravili Quido Hodura e Bohuslav Horák. Praha: Orbis. Internet (30.10.2007). http://texty.citanka.cz/polo/miltoc.html Traduzione ceca del XV secolo a partire da un originale latino.
  • Polo, Marco (1975). Milione: Versione toscana del Trecento. Milano: Adelphi. Internet (30.10.2007). http://www.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000823/bibit000823.xml A cura di Valeria Bertolucci Pizzorusso.
  • Polo, Marco (1981). Il Milione. Roma: L'Unità - Editori Riuniti. Internet 9.11.2011). http://www.liberliber.it/biblioteca/p/polo/index.htm A cura di Antonio Lanza.
  • Polo, Marco (1982). Milione. Divisament dou monde: Nelle redazioni toscana e franco-italiana. Milano: Mondadori. A cura di Gabriella Ronchi.
  • Wu, Cheng'en (2008). Viaggio in occidente. Traduzione dal francese. Internet (9.11.2011). http://www.liberliber.it/biblioteca/w/wu_cheng_en/index.htm
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