Slezská univerzita v Opavě

Giuseppe Parini

Il mattino

(secondo l'edizione di Milano, 1763; vv. 33-157)

Trascrizione didattica

(Vai al testo originale)

Sorge il mattino in compagnia dell'alba
innanzi al sole che poi grande appare
sull'estremo orizzonte a render lieti
gli animali e le piante e i campi e le onde.
Allora il buon villano sorge dal caro
letto cui la fedele sposa, e i minori
suoi figlioletti intiepidirono la notte;
poi sul collo recando i sacri arnesi
che prima inventarono Cerere, e Pale,
va col bue lento innanzi al campo, e scuote
lungo il piccolo sentiero dai curvi rami
il rugiadoso umore che, come se fosse una gemma,
i nascenti del sole raggi rifrange.
Allora sorge il fabbro, e la sonante
officina riapre, e al lavoro torna
l'altro dì non completato, o se di chiave
ardua e ferrati congegni all'inquieto
ricco le arche assicura, o se d'argento
e d'oro incider vuole gioielli e vasi
per ornamento a nuove spose o a mense.

Ma che? tu inorridisci, e mostri in capo,
come un istrice pungente, irti i capelli
al suono delle mie parole? Ah non è questo,
signore, il tuo mattino. Tu col cadente
sole non sedesti a parca mensa, e al lume
dell'incerto crepuscolo non gisti
ieri a coricarti in male agiate piume,
come dannato è a far l'umile volgo.
A voi celeste prole, a voi comunità
di Semidei terreni altro concesse
Giove benigno: e con altre tecniche e leggi
per nuovo calle a me conviene guidarvi.

Tu tra le veglie, e le canore scene,
e l'emozionante gioco oltre più assai
prolungasti la notte; e stanco alfine
in aureo cocchio, col fragore di calde
velocissime ruote, e il calpestio
di volanti corsieri, a lunga distanza agitasti
il quieto aere notturno, e le tenebre
con fiaccole superbe intorno apristi,
come allora il siculo terreno
dall'uno all'altro mare rimbombar fece
Plutone col carro a cui splendevano innanzi
le tede delle Furie anguicrinite.

Così tornasti alla magione; ma quivi
a nuovi impegni ti attendeva la mensa
che ricoprivano stuzzicanti cibi
e liquori lieti di francesi colli,
o d'ispani, o di toschi, o l'ungherese
bottiglia
a cui di verde edera Bacco
concedette corona; e disse: siedi
delle mense regina. Alfine il Sonno
ti sprimacciò le morbide coltrici
di propria mano, ove, te accolto, il fido
servo calò le seriche cortine:
e a te soavemente i lumi chiuse
il gallo che li suole aprire agli altri.

Giusto è perciò che a te gli stanchi sensi
non sciolga dai papaveri tenaci
Morfeo prima che già grande il giorno
tenti di penetrar fra gli spiragli
delle dorate imposte, e la parete
pingano a stento in qualche parte i raggi
del sole che eccelso a te pende sul capo.
Ora qui principio le leggiadre cure
devono aver del tuo giorno; e quinci io debbo
sciogliere il mio legno, e coi precetti miei
te ad alte imprese ammaestrar cantando.

Già i valletti gentili udirono lo squillo
del vicino metallo che la tua mano lontana
scosse con un movimento che il filo trasmise;
e accorsero pronti a spalancar gli opposti
schermi alla luce, e stettero molto attenti
che con tua pena non osasse Febo
entrar diretto a saettarti i lumi.
Ergiti ora tu un poco, e così appoggiati
agli origlieri i quali lenti degradando
all'omero ti fanno molle sostegno.
Poi coll'indice destro, lieve lieve
sopra gli occhi scorrendo, indi dilegua
quel che rimane de la cimmeria nebbia;
e con le labbra formando un piccolo arco,
dolce a vedersi, tacito sbadiglia.
Oh! se te in così gentile atto mirasse
il duro capitano qualora tra le armi,
sgangherando le labbra, innalza un grido
laceratore di ben costruiti orecchi,
cosicché alle squadre vari movimenti impone;
se te mirasse allora, certo vergogna
avrebbe di sé più che Minerva il giorno
che, il flauto suonando, al fonte scorse
il turpe aspetto delle guance enfiate.

Ma già il ben pettinato entrar di nuovo
tuo damigello io vedo; egli a te chiede
quale oggi più delle bevande usate
sorbir ti piaccia in preziosa tazza:
indiche merci sono tazze e bevande;
scegli quale più desideri. Se oggi ti giova
porger dolci allo stomaco combustibili,
così che con legge il naturale calore
vi arda regolato, e al digerir ti valga,
scegli la bruna cioccolata, con la quale tributo
ti dà il guatemalteco e il caribico
che ha di barbare penne avvolto il crine:
ma se noiosa ipocondria ti opprime,
o troppo intorno alle vezzose membra
adipe cresce, delle tue labbra onora
la nettarea bevanda ove abbronzato
fuma ed arde il legume a te da Aleppo
giunto e da Moca, che di mille navi
popolata sempre più insuperbisce.

Certo fu d'uopo che dalla sede originaria
uscisse un regno e che con ardite vele
fra straniere procelle e nuovi mostri
e timori e rischi ed inumane fami
superasse i confini per lunga età
inviolati ancora: e ben fu giusto
se Cortes e Pizzarro umano sangue
non stimarono quello che oltre l'Oceano
scorreva nelle umane membra, per cui tonando
e fulminando, alfine spietatamente
sbalzarono giù dai loro aviti troni
re messicani e generosi inca,
poiché nuove così vennero delizie,
o gemma degli eroi, al tuo palato.

Testo originale Vai alla trascrizione moderna

Sorge il mattino in compagnìa dell'alba
innanzi al sol che di poi grande appare
su l'estremo orizzonte a render lieti
gli animali e le piante e i campi e l'onde.
Allora il buon villan sorge dal caro
letto cui la fedel sposa, e i minori
suoi figlioletti intepidìr la notte;
poi sul collo recando i sacri arnesi
che prima ritrovâr Cerere, e Pale,
va col bue lento innanzi al campo, e scuote
lungo il picciol sentier da' curvi rami
il rugiadoso umor che, quasi gemma,
i nascenti del sol raggi rifrange.
Allora sorge il fabbro, e la sonante
officina riapre, e all'opre torna
l'altro dì non perfette, o se di chiave
ardua e ferrati ingegni all'inquieto
ricco l'arche assecura, o se d'argento
e d'oro incider vuol giojelli e vasi
per ornamento a nuove spose o a mense.

Ma che? tu inorridisci, e mostri in capo,
qual istrice pungente, irti i capegli
al suon di mie parole? Ah non è questo,
signore, il tuo mattin. Tu col cadente
sol non sedesti a parca mensa, e al lume
dell'incerto crepuscolo non gisti
jeri a corcarti in male agiate piume,
come dannato è a far l'umile vulgo.
A voi celeste prole, a voi concilio
di Semidei terreni altro concesse
Giove benigno: e con altr'arti e leggi
per novo calle a me convien guidarvi.

Tu tra le veglie, e le canore scene,
e il patetico gioco oltre più assai
producesti la notte; e stanco alfine
in aureo cocchio, col fragor di calde
precipitose rote, e il calpestìo
di volanti corsier, lunge agitasti
il queto aere notturno, e le tenèbre
con fiaccole superbe intorno apristi,
siccome allor che il siculo terreno
dall'uno all'altro mar rimbombar feo
Pluto col carro a cui splendeano innanzi
le tede de le Furie anguicrinite.

Così tornasti a la magion; ma quivi
a novi studj ti attendea la mensa
cui ricoprien pruriginosi cibi
e licor lieti di francesi colli,
o d'ispani, o di toschi, o l'ongarese
bottiglia a cui di verde edera Bacco
concedette corona; e disse: siedi
de le mense reina. Alfine il Sonno
ti sprimacciò le morbide coltrici
di propria mano, ove, te accolto, il fido
servo calò le seriche cortine:
e a te soavemente i lumi chiuse
il gallo che li suole aprire altrui.

Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi
non sciolga da' papaveri tenaci
Morfeo prima, che già grande il giorno
tenti di penetrar fra gli spiragli
de le dorate imposte, e la parete
pingano a stento in alcun lato i raggi
del sol ch'eccelso a te pende sul capo.
Or qui principio le leggiadre cure
denno aver del tuo giorno; e quinci io debbo
sciorre il mio legno, e co' precetti miei
te ad alte imprese ammaestrar cantando.

Già i valetti gentili udîr lo squillo
del vicino metal cui da lontano
scosse tua man col propagato moto;
e accorser pronti a spalancar gli opposti
schermi a la luce, e rigidi osservâro,
che con tua pena non osasse Febo
entrar diretto a saettarti i lumi.
Ergiti or tu alcun poco, e sì ti appoggia
alli origlieri i quai lenti gradando
all'omero ti fan molle sostegno.
Poi coll'indice destro, lieve lieve
sopra gli occhi scorrendo, indi dilegua
quel che riman de la cimmeria nebbia;
e de' labbri formando un picciol arco,
dolce a vedersi, tacito sbadiglia.
Oh! se te in sì gentile atto mirasse
il duro capitan qualor tra l'armi,
sgangherando le labbra, innalza un grido
lacerator di ben costrutti orecchi,
onde a le squadre varj moti impone;
se te mirasse allor, certo vergogna
avria di sé più che Minerva il giorno
che, di flauto sonando, al fonte scorse
il turpe aspetto de le guance enfiate.

Ma già il ben pettinato entrar di novo
tuo damigello i' veggo; egli a te chiede
quale oggi più de le bevande usate
sorbir ti piaccia in preziosa tazza:
indiche merci son tazze e bevande;
scegli qual più desii. S'oggi ti giova
porger dolci allo stomaco fomenti,
sì che con legge il natural calore
v'arda temprato, e al digerir ti vaglia,
scegli ‘l brun cioccolatte, onde tributo
ti dà il guatimalese e il caribbèo
c'ha di barbare penne avvolto il crine:
ma se nojosa ipocondrìa t'opprime,
o troppo intorno a le vezzose membra
adipe cresce, de' tuoi labbri onora
la nettarea bevanda ove abbronzato
fuma, ed arde il legume a te d'Aleppo
giunto, e da Moca che di mille navi
popolata mai sempre insuperbisce.

Certo fu d'uopo, che dal prisco seggio
uscisse un regno, e con ardite vele
fra straniere procelle e novi mostri
e teme e rischi ed inumane fami
superasse i confin, per lunga etade
inviolati ancora: e ben fu dritto
se Cortes, e Pizzarro umano sangue
non istimâr quel ch'oltre l'Oceàno
scorrea le umane membra, onde tonando
e fulminando, alfin spietatamente
balzaron giù da' loro aviti troni
re messicani e generosi Incassi,
poiché nuove così venner delizie,
o gemma degli eroi, al tuo palato.


Tratto da: Parini, Giuseppe (1925). Tutte le opere: Edite e inedite: Di Giuseppe Parini: Raccolte da Guido Mazzoni. Firenze: D. Barbèra. Internet (7.4.2008):
http://www.classicitaliani.it/parini/parini01_mattino_1763.htm

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Giorgio Cadorini --- giorgio (ad) cadorini (punto) org --- GSM +420-732.466.543