Ridolfo: caffettiere
Don Marzio: gentiluomo
napolitano
Eugenio: mercante
Flaminio: sotto nome di Conte
Leandro
Placida: moglie di Flaminio, in
abito di
pellegrina
Vittoria: moglie di Eugenio
Lisaura: ballerina
Pandolfo: biscazziere
Trappola: garzone di Ridolfo
Un garzone del parrucchiere, che parla
Altro garzone del caffettiere, che parla
Un cameriere di locanda, che parla
Capitano di birri, che parla
Birri, che non parlano
Altri camerieri di locanda, che non parlano
Altri garzoni della bottega di caffè, che non parlano
La scena stabile rappresenta una piazzetta in Venezia, ovvero una strada alquanto spaziosa con tre botteghe: quella di mezzo ad uso di caffè; quella alla diritta, di parrucchiere e barbiere; quella alla sinistra ad uso di giuoco, o sia biscazza; e sopra le tre botteghe suddette si vedono alcuni stanzini praticabili appartenenti alla bisca, colle finestre in veduta della strada medesima. Dalla parte del barbiere (con una strada in mezzo) evvi la casa della ballerina, e dalla parte della bisca vedesi la locanda con porte e finestre praticabili.
Ridolfo, Trappola e altri garzoni
Ridolfo: Animo, figliuoli, portatevi bene;
siate
lesti e pronti a servire gli
avventori, con civiltà, con proprietà: perché tante volte dipende il credito di una
bottega dalla buona maniera di quei che servono.
Trappola: Caro signor padrone, per dirvi
la
verità, questo levarsi di buon ora,
non è niente fatto per la mia complessione.
Ridolfo: Eppure bisogna levarsi presto.
Bisogna
servir tutti. A buon'ora vengono
quelli che hanno da far viaggio, i lavoranti, i barcaruoli, i marinai,
tutta gente che si
alza di buon mattino.
Trappola: E' veramente una cosa che fa
crepar di
ridere vedere anche i facchini
venire a bevere il loro caffè.
Ridolfo: Tutti cercan di fare quello che
fanno gli
altri. Una volta correva
l'acquavite, adesso è in voga il caffè.
Trappola: E quella signora, dove porto il
caffè tutte le mattine, quasi sempre mi
prega che io le compri quattro soldi di legna, e pur vuole bere il suo
caffé.
Ridolfo: La gola è un vizio che
non
finisce mai, ed è quel vizio che cresce
sempre quanto più l'uomo invecchia.
Trappola: Non si vede venir nessuno a
bottega; si
poteva dormire un'altra oretta.
Ridolfo: Or ora verrà della
gente; non
è poi tanto di buon'ora. Non vedete? Il
barbiere ha aperto: è in bottega lavorando parrucche.
Guarda, anche il botteghino del
giuoco è aperto.
Trappola: Oh! in quanto poi a questa
biscazza,
è aperta che è un pezzo. Hanno
fatto nottata.
Ridolfo: Buono! A m'esser Pandolfo
avrà
fruttato bene.
Trappola: A quel cane frutta sempre bene: guadagna
nelle carte, guadagna negli
scrocchi, guadagna a far di balla coi baratori. I denari di chi va
là dentro sono tutti
suoi.
Ridolfo: Non v'innamoraste mai di questo
guadagno,
perché la farina del diavolo va
tutta in crusca.
Trappola: Quel povero signor Eugenio! Lo
ha
precipitato.
Ridolfo: Guardate anche quello, che poco
giudizio!
Ha moglie una giovane di garbo e
di proposito, e corre dietro a tutte le donne, e poi di più
giuoca da disperato.
Trappola: Piccole galanterie della
gioventù moderna.
Ridolfo: Giuoca con quel conte Leandro, e
li ha
persi sicuri.
Trappola: Oh quel signor conte
è un bel
fior di virtù!
Ridolfo: Oh via, andate a tostare il
caffè, per farne una caffettiera di fresco.
Trappola: Vi metto gli avanzi di ieri sera?
Ridolfo: No, fatelo buono.
Trappola: Signor padrone, ho poca memoria.
Quant'è che avete aperto bottega?
Ridolfo: Lo sapete pure. Saranno incirca
otto mesi.
Trappola: E' tempo di mutar costume.
Ridolfo: Come sarebbe a dire?
Trappola: Quando si apre una bottega
nuova, si fa il
caffè perfetto. Dopo sei mesi
al più, acqua calda e brodo lungo. (parte)
Ridolfo: E' grazioso costui! spero che
farà bene per la mia bottega, perché in
quelle botteghe dove vi è qualcheduno che sappia fare il
buffone, tutti corrono.
Ridolfo e M'esser Pandolfo dalla bottega del giuoco, strofinandosi gli occhi come assonnato.
Ridolfo: M'esser Pandolfo, volete il
caffè?
Pandolfo: Sì, fatemi il piacere.
Ridolfo: Giovanni, date il
caffè a
m'esser Pandolfo. Sedete, accomodatevi.
Pandolfo: No, no, bisogna che io lo beva
presto, e
che ritorni al travaglio. (un
giovane porta il caffè a Pandolfo)
Ridolfo: Giuocano ancora in bottega?
Pandolfo: Si lavora a due telai.
Ridolfo: Così presto?
Pandolfo: Giuocano da ieri in qua.
Ridolfo: A che giuoco?
Pandolfo: A un giuoco innocente: prima e
seconda.
Ridolfo: E come va?
Pandolfo: Per me va bene.
Ridolfo: Vi siete divertito anche voi a
giuocare?
Pandolfo: Sì, anch'io ho
tagliato un poco.
Ridolfo: Compatite, amico, io non ho da
entrare ne'
vostri interessi; ma non istà
bene che il padrone della bottega giuochi anche lui perché
se perde, si fa burlare, e se
guadagna, fa sospettare.
Pandolfo: A me basta che non mi burlino;
del resto
poi, che sospettino quanto
vogliono, non ci penso.
Ridolfo: Caro amico, siamo vicini, e non
vorrei, che
vi accadessero delle
disgrazie. Sapete che per il vostro giuoco siete stato dell'altre volte
in cattura.
Pandolfo: Mi contento di poco. Ho buscati
due
zecchini, e non ho voluto altro.
Ridolfo: Bravo, pelar la quaglia senza
farla
gridare. A chi li avete vinti?
Pandolfo: Ad un garzone d'orefice.
Ridolfo: Male, malissimo: così
si da mano
ai giovani perché rubino ai loro
padroni.
Pandolfo: Eh! non mi venite a moralizzare.
Chi
è gonzo stia a casa sua. Io tengo
giuoco per chi vuole giocare.
Ridolfo: Tener giuoco stimo il meno; ma
voi siete
preso di mira per giuocator di
vantaggio, e in questa sorta di cose si fa presto a precipitare.
Pandolfo: Io bricconate non ne fo. So
giuocare. Son
fortunato e per questo vinco.
Ridolfo: Bravo, tirate innanzi
così. Il
signor Eugenio ha giuocato questa notte?
Pandolfo: Giuoca anche adesso. Non ha
cenato, non ha
dormito e ha perso tutti i
denari.
Ridolfo: (Povero giovine!) (da
sé)
Quanto avrà perduto?
Pandolfo: Cento zecchini in contanti, e
ora perde
sulla parola.
Ridolfo: Con chi giuoca?
Pandolfo: Col signor Conte.
Ridolfo: Con quello sì fatto?
Pandolfo: Appunto con quello.
Ridolfo: E con chi altri?
Pandolfo: Loro due soli: a testa a testa.
Ridolfo: Poveraccio! Sta fresco davvero!
Pandolfo: Che importa? A me basta che
scozzino delle
carte assai.
Ridolfo: Non terrei giuoco, se credessi di
farmi
ricco.
Pandolfo: No? Per quale ragione?
Ridolfo: Mi pare, che un galantuomo non
debba
soffrire di veder assassinar la
gente.
Pandolfo: Eh, amico, se sarete
così
delicato di pelle, farete pochi quattrini.
Ridolfo: Non me ne importa niente. Finora
sono stato
a servire, e ho fatto il mio
debito onoratamente. Mi sono avanzato quattro soldi, e coll'aiuto del
mio padrone di
allora, ch'era il padre, come sapete, del signor Eugenio, ho aperta
questa bottega, e con
questa voglio vivere onoratamente, e non voglio far torto alla mia
professione.
Pandolfo: Oh! anche nella vostra
professione vi sono
de' bei capi d'opera!
Ridolfo: Ve ne sono in tutte le
professioni. Ma da
quelli non vanno le persone
ragguardevoli che vengono alla mia bottega.
Pandolfo: Avete anche voi gli stanzini
segreti.
Ridolfo: E' vero; ma non si chiude la
porta.
Pandolfo: Il caffè non potete
negarlo a
nessuno.
Ridolfo: Le chicchere non si macchiano.
Pandolfo: Eh via! si serra un occhio.
Ridolfo: Non si serra niente; in questa
bottega non
vien che gente onorata.
Pandolfo: Sì, sì,
siete
principiante.
Ridolfo: Che vorreste dire?
(Gente della bottega del giuoco chiama: Carte!)
Pandolfo: La servo. (verso la
sua bottega)
Ridolfo: Per carità, levate dal
tavolino
quel povero signore Eugenio.
Pandolfo: Per me, che perda anche la
camicia, non ci
penso. (s'incammina verso
la sua bottega)
Ridolfo: Amico, il caffé ho da
notarlo?
Pandolfo: Niente, lo giuocheremo a
primiera.
Ridolfo: Io non sono un gonzo, amico.
Pandolfo: Via, che serve? Sapete pure che
i miei
avventori si servono alla vostra
bottega. Mi meraviglio che attendiate a queste piccole cose. (s'incammina)
(Tornano a chiamare)
Pandolfo: Eccomi. (entra nel
giuoco)
Ridolfo: Bel mestiere! vivere sulle
disgrazie, sulla
rovina della gioventù! Per me
non vi sarà mai pericolo che tenga giuoco. Si principia con
i giuochetti, e poi si
termina colla bassetta. No, no, caffè, caffè;
giacché col caffè si guadagna il
cinquanta per cento, che cosa vogliamo cercar di più?
Don Marzio e Ridolfo
Ridolfo: (Ecco qui, quel che non tace mai,
e che
sempre vuole aver ragione.) (da
sè)
Don Marzio: Caffè!
Ridolfo: Subito, sarà servita.
Don Marzio: Che vi è di nuovo,
Ridolfo?
Ridolfo: Non saprei, signore.
Don Marzio: Non si è ancora
veduto
nessuno a questa vostra bottega.
Ridolfo: E' per anco buon'ora.
Don Marzio: Buon'ora? Sono sedici ore
sonate.
Ridolfo: Oh illustrissimo no, non sono
ancora
quattordici.
Don Marzio: Eh, via, buffone!
Ridolfo: Le assicuro io che le quattordici
ore non
sono sonate.
Don Marzio: Eh, via, asino.
Ridolfo: Ella mi strapazza senza ragione.
Don Marzio: Ho contato in questo punto le
ore, e vi
dico che sono sedici; e poi
guardate il mio orologio (gli mostra l'orologio); questo non fallisce mai.
Ridolfo: Bene, se il suo orologio non
fallisce,
osservi; il suo orologio medesimo
mostra tredici ore e tre quarti.
Don Marzio: Eh, non può essere.
(cava
l'occhialetto e guarda)
Ridolfo: Che dice?
Don Marzio: Il mio orologio va male. Sono
sedici
ore. Le ho sentite io.
Ridolfo: Dove l'ha comprato quell'orologio?
Don Marzio: L'ho fatto venir di Londra.
Ridolfo: L'hanno ingannata.
Don Marzio: Mi hanno ingannato?
Perché?
Ridolfo: Le hanno mandato un orologio
cattivo. (ironicamente)
Don Marzio: Come cattivo? E' uno dei
più
perfetti, che abbia fatto il Quarè.
Ridolfo: Se fosse buono, non fallirebbe di
due ore.
Don Marzio: Questo va sempre bene, non
fallisce mai.
Ridolfo: Ma se fa quattordici ore meno un
quarto, e
dice che sono sedici.
Don Marzio: Il mio orologio va bene.
Ridolfo: Dunque saranno or ora
quattordici, come
dico io.
Don Marzio: Sei un temerario. Il mio
orologio va
bene, tu di' male, e guarda ch'io
non ti dia qualche cosa nel capo. (un giovane porta il
caffè)
Ridolfo: E' servita del caffè. (con
sdegno) (Oh che bestiaccia!) (da sé)
Don Marzio: Si è veduto il
signor Eugenio?
Ridolfo: Illustrissimo signor no.
Don Marzio: Sarà in casa a
carezzare la
moglie. Che uomo effeminato! Sempre
moglie! Non si lascia più vedere, si fa ridicolo. E' un uomo
di stucco. Non sa quel che
si faccia. Sempre moglie! sempre moglie! (bevendo il
caffè)
Ridolfo: Altro che moglie! E' stato tutta
la notte a
giuocare qui da m'esser
Pandolfo.
Don Marzio: Se lo dico io. Sempre giuoco.
Sempre
giuoco! (da la chicchera e
s'alza)
Ridolfo: (Sempre giuoco; sempre moglie;
sempre il
diavolo, che se lo porti!) (da
sé)
Don Marzio: E' venuto da me l'altro giorno
con tutta
segretezza a pregarmi che gli
prestassi dieci zecchini sopra un paio di orecchini di sua moglie.
Ridolfo: Vede bene; tutti gli uomini sono
soggetti
ad avere qualche volta bisogno;
ma non tutti hanno piacere poi che si sappia, e per questo
sarà venuto da lei, sicuro che
non dirà niente a nessuno.
Don Marzio: Oh io non parlo. Fo volentieri
servizio
a tutti, e non me ne vanto. (mostra
gli orecchini in una custodia) Eccoli qui; questi sono gli
orecchini di sua moglie.
Gli ho prestato dieci zecchini; vi pare che io sia coperto?
Ridolfo: Io non me ne intendo, ma mi par
di
sì.
Don Marzio: Avete il vostro garzone?
Ridolfo: Ci sarà.
Don Marzio: Chiamatelo. Ehi, Trappola.
Trappola dall'interno della bottega, detti.
Trappola: Eccomi.
Don Marzio: Vieni qui. Va dal gioielliere
qui
vicino, fagli vedere questi
orecchini, che sono della moglie del signor Eugenio, e dimandagli da
parte mia, se io sono
al coperto di dieci zecchini, che gli ho prestati.
Trappola: Sarà servita. Dunque
questi
orecchini sono della moglie del signor
Eugenio?
Don Marzio: Sì, or ora non ha
più niente; è morto di fame.
Ridolfo: (Meschino, in che mani
è
capitato!) (da sé)
Trappola: E al signor Eugenio non importa
niente di
far sapere i fatti suoi a
tutti?
Don Marzio: Io sono una persona, alla
quale si
può confidare un segreto.
Trappola: Ed io sono una persona, alla
quale non si
può confidar niente.
Don Marzio: Perché?
Trappola: Perché ho un vizio,
che ridico
tutto con facilità.
Don Marzio: Male malissimo; se farai
così
perderai il credito, e nessuno si
fiderà di te.
Trappola: Ma come ella l'ha detto a me,
così io posso dirlo ad un altro.
Don Marzio: Va a vedere se il barbiere
è
a tempo per farmi la barba.
Trappola: La servo (da
sé)
(per dieci quattrini vuole bere il caffè, e
vuole un servitore a suo comando.) (entra dal barbiere)
Don Marzio: Ditemi, Ridolfo: che cosa fa
quella
ballerina qui vicina?
Ridolfo: In verità non so
niente.
Don Marzio: Mi è stato detto
che il conte
Leandro la tiene sotto la sua tutela.
Ridolfo: Con grazia, signore, il
caffè
vuol bollire. (da sé) (Voglio
badare a' fatti miei.) (entra in bottega)
Trappola e Don Marzio.
Trappola: Il barbiere ha uno sotto; subito
che
avrà finito di scorticar quello,
servirà V. S. illustrissima.
Don Marzio: Dimmi: sai niente tu di quella
ballerina
che sta qui vicino?
Trappola: Della signora Lisaura?
Don Marzio: Sì.
Trappola: So, e non so.
Don Marzio: Raccontami qualche cosa.
Trappola: Se racconterò i fatti
degli
altri, perderò il credito, e nessun si
fiderà più di me.
Don Marzio: A me lo puoi dire. Sai chi
sono, io non
parlo. Il conte Leandro la
pratica?
Trappola: Alle sue ore la pratica.
Don Marzio: Che vuol dire alle sue ore?
Trappola: Vuol dire, quando non
è in caso
di dar soggezione.
Don Marzio: Bravo; ora capisco. E' un
amico di buon
cuore, che non vuole recarle
pregiudizio.
Trappola: Anzi desidera che la si profitti
per far
partecipe anche lui delle sue
care grazie.
Don Marzio: Meglio! Oh che Trappola
malizioso! Va
via, va a far vedere gli
orecchini.
Trappola: Al gioielliere lo posso dire che
sono
della moglie del signor Eugenio?
Don Marzio: Sì, diglielo pure.
Trappola: (da sé)
(Fra
il signor Don Marzio, ed io, formiamo una bellissima
segreteria.) (parte)
Don Marzio, poi Ridolfo.
Don Marzio: Ridolfo.
Ridolfo: Signore.
Don Marzio: Se voi non sapete niente della
ballerina, vi racconterò io.
Ridolfo: Io, per dirgliela, dei fatti
degli altri
non me ne curo molto.
Don Marzio: Ma sta bene saper qualche cosa
per
potersi regolare. Ella è protetta
da quella buona lana del conte Leandro, ed egli, dai profitti della
ballerina ricava il
prezzo della sua protezione. Invece di spendere, mangia tutto a quella
povera diavola; e
per cagione di lui forse è costretta a fare quello che non
farebbe. Oh che briccone!
Ridolfo: Ma, io son qui tutto il giorno, e
posso
attestare che in casa sua non vedo
andare altri, che il conte Leandro.
Don Marzio: Ha la porta di dietro; pazzo,
pazzo!
Sempre flusso e riflusso. Ha la
porta di dietro, pazzo!
Ridolfo: Io bado alla mia bottega, s'ella
ha la
porta di dietro, che importa a me?
Io non vado a dar di naso a nessuno.
Don Marzio: Bestia! Così parli
con un par
mio? (s'alza)
Ridolfo: Le domando perdono, non si
può
dire una facezia?
Don Marzio: Dammi un bicchier di rosolio.
Ridolfo: (da sè)
(Questa barzelletta mi costerà due soldi.) (fa
cenno
ai giovani, che dieno il rosolio)
Don Marzio: (Oh questa poi della ballerina
voglio
che tutti la sappiano.) (da
sè)
Ridolfo: Servita del rosolio.
Don Marzio: Flusso e riflusso per la porta
di
dietro. (bevendo il rosolio)
Ridolfo: Ella starà male quando
ha il
flusso e riflusso per la porta di dietro.
[Carlo Goldoni, La bottega del caffè, I, 1-6. http://www.classicitaliani.it/index027.htm]