Carlo Goldoni

La Bottega del caffè

PERSONAGGI

Ridolfo: caffettiere
Don Marzio: gentiluomo napolitano
Eugenio: mercante
Flaminio: sotto nome di Conte Leandro
Placida: moglie di Flaminio, in abito di pellegrina
Vittoria: moglie di Eugenio
Lisaura: ballerina
Pandolfo: biscazziere
Trappola: garzone di Ridolfo
Un garzone del parrucchiere, che parla
Altro garzone del caffettiere, che parla
Un cameriere di locanda, che parla
Capitano di birri, che parla
Birri, che non parlano
Altri camerieri di locanda, che non parlano
Altri garzoni della bottega di caffè, che non parlano

La scena stabile rappresenta una piazzetta in Venezia, ovvero una strada alquanto spaziosa con tre botteghe: quella di mezzo ad uso di caffè; quella alla diritta, di parrucchiere e barbiere; quella alla sinistra ad uso di giuoco, o sia biscazza; e sopra le tre botteghe suddette si vedono alcuni stanzini praticabili appartenenti alla bisca, colle finestre in veduta della strada medesima. Dalla parte del barbiere (con una strada in mezzo) evvi la casa della ballerina, e dalla parte della bisca vedesi la locanda con porte e finestre praticabili.


Atto Primo

Scena prima

Ridolfo, Trappola e altri garzoni

Ridolfo: Animo, figliuoli, portatevi bene; siate lesti e pronti a servire gli avventori, con civiltà, con proprietà: perché tante volte dipende il credito di una bottega dalla buona maniera di quei che servono.
Trappola: Caro signor padrone, per dirvi la verità, questo levarsi di buon ora, non è niente fatto per la mia complessione.
Ridolfo: Eppure bisogna levarsi presto. Bisogna servir tutti. A buon'ora vengono quelli che hanno da far viaggio, i lavoranti, i barcaruoli, i marinai, tutta gente che si alza di buon mattino.
Trappola: E' veramente una cosa che fa crepar di ridere vedere anche i facchini venire a bevere il loro caffè.
Ridolfo: Tutti cercan di fare quello che fanno gli altri. Una volta correva l'acquavite, adesso è in voga il caffè.
Trappola: E quella signora, dove porto il caffè tutte le mattine, quasi sempre mi prega che io le compri quattro soldi di legna, e pur vuole bere il suo caffé.
Ridolfo: La gola è un vizio che non finisce mai, ed è quel vizio che cresce sempre quanto più l'uomo invecchia.
Trappola: Non si vede venir nessuno a bottega; si poteva dormire un'altra oretta.
Ridolfo: Or ora verrà della gente; non è poi tanto di buon'ora. Non vedete? Il barbiere ha aperto: è in bottega lavorando parrucche. Guarda, anche il botteghino del giuoco è aperto.
Trappola: Oh! in quanto poi a questa biscazza, è aperta che è un pezzo. Hanno fatto nottata.
Ridolfo: Buono! A m'esser Pandolfo avrà fruttato bene.
Trappola: A quel cane frutta sempre bene: guadagna nelle carte, guadagna negli scrocchi, guadagna a far di balla coi baratori. I denari di chi va là dentro sono tutti suoi.
Ridolfo: Non v'innamoraste mai di questo guadagno, perché la farina del diavolo va tutta in crusca.
Trappola: Quel povero signor Eugenio! Lo ha precipitato.
Ridolfo: Guardate anche quello, che poco giudizio! Ha moglie una giovane di garbo e di proposito, e corre dietro a tutte le donne, e poi di più giuoca da disperato.
Trappola: Piccole galanterie della gioventù moderna.
Ridolfo: Giuoca con quel conte Leandro, e li ha persi sicuri.
Trappola: Oh quel signor conte è un bel fior di virtù!
Ridolfo: Oh via, andate a tostare il caffè, per farne una caffettiera di fresco.
Trappola: Vi metto gli avanzi di ieri sera?
Ridolfo: No, fatelo buono.
Trappola: Signor padrone, ho poca memoria. Quant'è che avete aperto bottega?
Ridolfo: Lo sapete pure. Saranno incirca otto mesi.
Trappola: E' tempo di mutar costume.
Ridolfo: Come sarebbe a dire?
Trappola: Quando si apre una bottega nuova, si fa il caffè perfetto. Dopo sei mesi al più, acqua calda e brodo lungo. (parte)
Ridolfo: E' grazioso costui! spero che farà bene per la mia bottega, perché in quelle botteghe dove vi è qualcheduno che sappia fare il buffone, tutti corrono.


Scena seconda

Ridolfo e M'esser Pandolfo dalla bottega del giuoco, strofinandosi gli occhi come assonnato.

Ridolfo: M'esser Pandolfo, volete il caffè?
Pandolfo: Sì, fatemi il piacere.
Ridolfo: Giovanni, date il caffè a m'esser Pandolfo. Sedete, accomodatevi.
Pandolfo: No, no, bisogna che io lo beva presto, e che ritorni al travaglio. (un giovane porta il caffè a Pandolfo)
Ridolfo: Giuocano ancora in bottega?
Pandolfo: Si lavora a due telai.
Ridolfo: Così presto?
Pandolfo: Giuocano da ieri in qua.
Ridolfo: A che giuoco?
Pandolfo: A un giuoco innocente: prima e seconda.
Ridolfo: E come va?
Pandolfo: Per me va bene.
Ridolfo: Vi siete divertito anche voi a giuocare?
Pandolfo: Sì, anch'io ho tagliato un poco.
Ridolfo: Compatite, amico, io non ho da entrare ne' vostri interessi; ma non istà bene che il padrone della bottega giuochi anche lui perché se perde, si fa burlare, e se guadagna, fa sospettare.
Pandolfo: A me basta che non mi burlino; del resto poi, che sospettino quanto vogliono, non ci penso.
Ridolfo: Caro amico, siamo vicini, e non vorrei, che vi accadessero delle disgrazie. Sapete che per il vostro giuoco siete stato dell'altre volte in cattura.
Pandolfo: Mi contento di poco. Ho buscati due zecchini, e non ho voluto altro.
Ridolfo: Bravo, pelar la quaglia senza farla gridare. A chi li avete vinti?
Pandolfo: Ad un garzone d'orefice.
Ridolfo: Male, malissimo: così si da mano ai giovani perché rubino ai loro padroni.
Pandolfo: Eh! non mi venite a moralizzare. Chi è gonzo stia a casa sua. Io tengo giuoco per chi vuole giocare.
Ridolfo: Tener giuoco stimo il meno; ma voi siete preso di mira per giuocator di vantaggio, e in questa sorta di cose si fa presto a precipitare.
Pandolfo: Io bricconate non ne fo. So giuocare. Son fortunato e per questo vinco.
Ridolfo: Bravo, tirate innanzi così. Il signor Eugenio ha giuocato questa notte?
Pandolfo: Giuoca anche adesso. Non ha cenato, non ha dormito e ha perso tutti i denari.
Ridolfo: (Povero giovine!) (da sé) Quanto avrà perduto?
Pandolfo: Cento zecchini in contanti, e ora perde sulla parola.
Ridolfo: Con chi giuoca?
Pandolfo: Col signor Conte.
Ridolfo: Con quello sì fatto?
Pandolfo: Appunto con quello.
Ridolfo: E con chi altri?
Pandolfo: Loro due soli: a testa a testa.
Ridolfo: Poveraccio! Sta fresco davvero!
Pandolfo: Che importa? A me basta che scozzino delle carte assai.
Ridolfo: Non terrei giuoco, se credessi di farmi ricco.
Pandolfo: No? Per quale ragione?
Ridolfo: Mi pare, che un galantuomo non debba soffrire di veder assassinar la gente.
Pandolfo: Eh, amico, se sarete così delicato di pelle, farete pochi quattrini.
Ridolfo: Non me ne importa niente. Finora sono stato a servire, e ho fatto il mio debito onoratamente. Mi sono avanzato quattro soldi, e coll'aiuto del mio padrone di allora, ch'era il padre, come sapete, del signor Eugenio, ho aperta questa bottega, e con questa voglio vivere onoratamente, e non voglio far torto alla mia professione.
Pandolfo: Oh! anche nella vostra professione vi sono de' bei capi d'opera!
Ridolfo: Ve ne sono in tutte le professioni. Ma da quelli non vanno le persone ragguardevoli che vengono alla mia bottega.
Pandolfo: Avete anche voi gli stanzini segreti.
Ridolfo: E' vero; ma non si chiude la porta.
Pandolfo: Il caffè non potete negarlo a nessuno.
Ridolfo: Le chicchere non si macchiano.
Pandolfo: Eh via! si serra un occhio.
Ridolfo: Non si serra niente; in questa bottega non vien che gente onorata.
Pandolfo: Sì, sì, siete principiante.
Ridolfo: Che vorreste dire?
(Gente della bottega del giuoco chiama: Carte!)
Pandolfo: La servo. (verso la sua bottega)
Ridolfo: Per carità, levate dal tavolino quel povero signore Eugenio.
Pandolfo: Per me, che perda anche la camicia, non ci penso. (s'incammina verso la sua bottega)
Ridolfo: Amico, il caffé ho da notarlo?
Pandolfo: Niente, lo giuocheremo a primiera.
Ridolfo: Io non sono un gonzo, amico.
Pandolfo: Via, che serve? Sapete pure che i miei avventori si servono alla vostra bottega. Mi meraviglio che attendiate a queste piccole cose. (s'incammina)
(Tornano a chiamare)
Pandolfo: Eccomi. (entra nel giuoco)
Ridolfo: Bel mestiere! vivere sulle disgrazie, sulla rovina della gioventù! Per me non vi sarà mai pericolo che tenga giuoco. Si principia con i giuochetti, e poi si termina colla bassetta. No, no, caffè, caffè; giacché col caffè si guadagna il cinquanta per cento, che cosa vogliamo cercar di più?


Scena terza

Don Marzio e Ridolfo

Ridolfo: (Ecco qui, quel che non tace mai, e che sempre vuole aver ragione.) (da sè)
Don Marzio: Caffè!
Ridolfo: Subito, sarà servita.
Don Marzio: Che vi è di nuovo, Ridolfo?
Ridolfo: Non saprei, signore.
Don Marzio: Non si è ancora veduto nessuno a questa vostra bottega.
Ridolfo: E' per anco buon'ora.
Don Marzio: Buon'ora? Sono sedici ore sonate.
Ridolfo: Oh illustrissimo no, non sono ancora quattordici.
Don Marzio: Eh, via, buffone!
Ridolfo: Le assicuro io che le quattordici ore non sono sonate.
Don Marzio: Eh, via, asino.
Ridolfo: Ella mi strapazza senza ragione.
Don Marzio: Ho contato in questo punto le ore, e vi dico che sono sedici; e poi guardate il mio orologio (gli mostra l'orologio); questo non fallisce mai.
Ridolfo: Bene, se il suo orologio non fallisce, osservi; il suo orologio medesimo mostra tredici ore e tre quarti.
Don Marzio: Eh, non può essere. (cava l'occhialetto e guarda)
Ridolfo: Che dice?
Don Marzio: Il mio orologio va male. Sono sedici ore. Le ho sentite io.
Ridolfo: Dove l'ha comprato quell'orologio?
Don Marzio: L'ho fatto venir di Londra.
Ridolfo: L'hanno ingannata.
Don Marzio: Mi hanno ingannato? Perché?
Ridolfo: Le hanno mandato un orologio cattivo. (ironicamente)
Don Marzio: Come cattivo? E' uno dei più perfetti, che abbia fatto il Quarè.
Ridolfo: Se fosse buono, non fallirebbe di due ore.
Don Marzio: Questo va sempre bene, non fallisce mai.
Ridolfo: Ma se fa quattordici ore meno un quarto, e dice che sono sedici.
Don Marzio: Il mio orologio va bene.
Ridolfo: Dunque saranno or ora quattordici, come dico io.
Don Marzio: Sei un temerario. Il mio orologio va bene, tu di' male, e guarda ch'io non ti dia qualche cosa nel capo. (un giovane porta il caffè)
Ridolfo: E' servita del caffè. (con sdegno) (Oh che bestiaccia!) (da sé)
Don Marzio: Si è veduto il signor Eugenio?
Ridolfo: Illustrissimo signor no.
Don Marzio: Sarà in casa a carezzare la moglie. Che uomo effeminato! Sempre moglie! Non si lascia più vedere, si fa ridicolo. E' un uomo di stucco. Non sa quel che si faccia. Sempre moglie! sempre moglie! (bevendo il caffè)
Ridolfo: Altro che moglie! E' stato tutta la notte a giuocare qui da m'esser Pandolfo.
Don Marzio: Se lo dico io. Sempre giuoco. Sempre giuoco! (da la chicchera e s'alza)
Ridolfo: (Sempre giuoco; sempre moglie; sempre il diavolo, che se lo porti!) (da sé)
Don Marzio: E' venuto da me l'altro giorno con tutta segretezza a pregarmi che gli prestassi dieci zecchini sopra un paio di orecchini di sua moglie.
Ridolfo: Vede bene; tutti gli uomini sono soggetti ad avere qualche volta bisogno; ma non tutti hanno piacere poi che si sappia, e per questo sarà venuto da lei, sicuro che non dirà niente a nessuno.
Don Marzio: Oh io non parlo. Fo volentieri servizio a tutti, e non me ne vanto. (mostra gli orecchini in una custodia) Eccoli qui; questi sono gli orecchini di sua moglie. Gli ho prestato dieci zecchini; vi pare che io sia coperto?
Ridolfo: Io non me ne intendo, ma mi par di sì.
Don Marzio: Avete il vostro garzone?
Ridolfo: Ci sarà.
Don Marzio: Chiamatelo. Ehi, Trappola.


Scena quarta

Trappola dall'interno della bottega, detti.

Trappola: Eccomi.
Don Marzio: Vieni qui. Va dal gioielliere qui vicino, fagli vedere questi orecchini, che sono della moglie del signor Eugenio, e dimandagli da parte mia, se io sono al coperto di dieci zecchini, che gli ho prestati.
Trappola: Sarà servita. Dunque questi orecchini sono della moglie del signor Eugenio?
Don Marzio: Sì, or ora non ha più niente; è morto di fame.
Ridolfo: (Meschino, in che mani è capitato!) (da sé)
Trappola: E al signor Eugenio non importa niente di far sapere i fatti suoi a tutti?
Don Marzio: Io sono una persona, alla quale si può confidare un segreto.
Trappola: Ed io sono una persona, alla quale non si può confidar niente.
Don Marzio: Perché?
Trappola: Perché ho un vizio, che ridico tutto con facilità.
Don Marzio: Male malissimo; se farai così perderai il credito, e nessuno si fiderà di te.
Trappola: Ma come ella l'ha detto a me, così io posso dirlo ad un altro.
Don Marzio: Va a vedere se il barbiere è a tempo per farmi la barba.
Trappola: La servo (da sé) (per dieci quattrini vuole bere il caffè, e vuole un servitore a suo comando.) (entra dal barbiere)
Don Marzio: Ditemi, Ridolfo: che cosa fa quella ballerina qui vicina?
Ridolfo: In verità non so niente.
Don Marzio: Mi è stato detto che il conte Leandro la tiene sotto la sua tutela.
Ridolfo: Con grazia, signore, il caffè vuol bollire. (da sé) (Voglio badare a' fatti miei.) (entra in bottega)


Scena quinta

Trappola e Don Marzio.

Trappola: Il barbiere ha uno sotto; subito che avrà finito di scorticar quello, servirà V. S. illustrissima.
Don Marzio: Dimmi: sai niente tu di quella ballerina che sta qui vicino?
Trappola: Della signora Lisaura?
Don Marzio: Sì.
Trappola: So, e non so.
Don Marzio: Raccontami qualche cosa.
Trappola: Se racconterò i fatti degli altri, perderò il credito, e nessun si fiderà più di me.
Don Marzio: A me lo puoi dire. Sai chi sono, io non parlo. Il conte Leandro la pratica?
Trappola: Alle sue ore la pratica.
Don Marzio: Che vuol dire alle sue ore?
Trappola: Vuol dire, quando non è in caso di dar soggezione.
Don Marzio: Bravo; ora capisco. E' un amico di buon cuore, che non vuole recarle pregiudizio.
Trappola: Anzi desidera che la si profitti per far partecipe anche lui delle sue care grazie.
Don Marzio: Meglio! Oh che Trappola malizioso! Va via, va a far vedere gli orecchini.
Trappola: Al gioielliere lo posso dire che sono della moglie del signor Eugenio?
Don Marzio: Sì, diglielo pure.
Trappola: (da sé) (Fra il signor Don Marzio, ed io, formiamo una bellissima segreteria.) (parte)


Scena sesta

Don Marzio, poi Ridolfo.

Don Marzio: Ridolfo.
Ridolfo: Signore.
Don Marzio: Se voi non sapete niente della ballerina, vi racconterò io.
Ridolfo: Io, per dirgliela, dei fatti degli altri non me ne curo molto.
Don Marzio: Ma sta bene saper qualche cosa per potersi regolare. Ella è protetta da quella buona lana del conte Leandro, ed egli, dai profitti della ballerina ricava il prezzo della sua protezione. Invece di spendere, mangia tutto a quella povera diavola; e per cagione di lui forse è costretta a fare quello che non farebbe. Oh che briccone!
Ridolfo: Ma, io son qui tutto il giorno, e posso attestare che in casa sua non vedo andare altri, che il conte Leandro.
Don Marzio: Ha la porta di dietro; pazzo, pazzo! Sempre flusso e riflusso. Ha la porta di dietro, pazzo!
Ridolfo: Io bado alla mia bottega, s'ella ha la porta di dietro, che importa a me? Io non vado a dar di naso a nessuno.
Don Marzio: Bestia! Così parli con un par mio? (s'alza)
Ridolfo: Le domando perdono, non si può dire una facezia?
Don Marzio: Dammi un bicchier di rosolio.
Ridolfo: (da sè) (Questa barzelletta mi costerà due soldi.) (fa cenno ai giovani, che dieno il rosolio)
Don Marzio: (Oh questa poi della ballerina voglio che tutti la sappiano.) (da sè)
Ridolfo: Servita del rosolio.
Don Marzio: Flusso e riflusso per la porta di dietro. (bevendo il rosolio)
Ridolfo:  Ella starà male quando ha il flusso e riflusso per la porta di dietro.

[Carlo Goldoni, La bottega del caffè, I, 1-6. http://www.classicitaliani.it/index027.htm]