Gianni Celati

Narratori delle pianure

TEMPO CHE PASSA

Una donna ogni giorno va a lavorare in macchina, percorrendo una cinquantina di chilometri tra andata e ritomo. II momento più difficile della sua giornata è quando al ritorno si ritrova sulle strade di casa, e si mette ad ascoltare il tempo che passa.

Dopo Cremona, andando verso est sulla Padana Inferiore, si incontra un grande centro commerciale con un'insegna visibile da lontano. Due supermercati lunghi e bassi, con un doppio piazzale di parcheggio a lato della camionabile, occupano uno spazio enorme in mezzo alle campagne. Sui piazzali vengono trasmesse musichette, ogni tanto la voce d'uno speaker annuncia una vendita speciale, e si sentono i fischietti di poliziotti privati che smistano il traffico di macchine nei parcheggi. Dalle macchine scendono per lo più famiglie intere, che vengono dalle campagne attorno a far la spesa; e la donna passando nota sempre che tutti si muovono un po' a disagio, straniti nello spazio aperto assieme a migliala d'altri come loro.

Subito dopo c'è un paese che si chiama Cicognolo e di lì, abbandonando la Padana Inferiore, il profilo del suolo si dilata sempre uguale fino all'orizzonte basso sul fondo. In distanza si vedono strade dritte, frazionate da pali della luce e percorse ogni tanto da camion, a volte da un trattore. Qui ogni sera la donna ritrova nelle campagne un silenzio che sembra strano.

Finché non arriva davanti a quelle villette su terrapieni a giardino, e altre file di villette a due piani, con balcone e scala esterna e fiori dovunque. Lì intorno si sente bene che il silenzio diffuso non è quello degli spazi aperti, è un silenzio residenziale che circonda i paesi e si spande nelle campagne.

La donna dice che in giro si vedono macchine, ma non si vedono cani ne bambini. Come se l'unico loro scopo nella vita fosse di mettersi al riparo da seccature, imbarazzi o complicazioni, gli abitanti vivono nascosti in quelle villette, uscendo allo scoperto solo per andare al lavoro o a fare la spesa in quel supermercato.

Nessuno ricorda neanche più cosa potrebbe esserci là fuori, a parte le ore del giorno, il tempo che passa. Allora nello spazio riempito da quel silenzio residenziale c'è solo tempo che passa, percepibile perché il silenzio lo rende così lento che sembra non passi mai.

Nessuno riesce più a sentire i rumori lontani degli altri, i quali ci dicono che là fuori tutto continua a funzionare. E la gente chiusa in casa non fa che pensarci a quell'assenza di rumori, aspettando l'ora del pranzo, della cena, o l'ora di guardare la televisione. Ma siccome pensandoci il tempo si allunga ancora di più come un elastico, gli abitanti si ritrovano là dentro spesso spaventati da un minuto che non passa mai.

Attraversando un paese che si chiama Pieve San Giacomo, spesso la donna prova una specie di solidarietà con i suoi abitanti, tutti chiusi in casa a pensare. All'ingresso del paese c'è il gigantesco cartello d'un ufficio vendite, e nel paese raramente vede anima viva, tranne qualche donna infagottata che passa in bicicletta e scompare immediatamente.

Dopo un passaggio a livello c'è una strada di villette residenziali a forma di modellini, dove la donna abita. Una villa più ricca delle altre ha un vasto prato e un molosso sempre immobile sul prato che guarda come una statua; nelle altre villette meno ricche invece statue dei nani d'un film di Walt Disney, disposte accanto alle porte. Molte facciate di quelle villette sono rivestite di piastrelle, ci sono alberi in miniatura davanti alle case, prati minuscoli e aiole con fiori stravaganti.

Spesso la donna non se la sente di rientrare a casa e ritrovare i suoi genitori che guardano la televisione, in una specie di rigor mortis da attesa che passi il tempo. Dunque prosegue fino a San Daniele Po e anche oltre, sulla provinciale verso Casalmaggiore. E anche lì sfilze di villette residenziali lungo la strada: molte di esse sono modellini in stile rustico, con muri coperti di finta roccia e un camminamento di lastre irregolari che attraversa il prato fino al cancelletto. Spesso il prato è pieno di piccole margherite, davanti alla casa ci sono falsi pozzi in gesso, alberi nani e cespugli di lauro ornamentale o di magnolia. In molti giardini ci sono piscine in stile hollywoodiano in miniatura.

Guardando quelle villette la donna è spesso colpita dalle infinite minuzie, che debbono aver occupato molto i pensieri dei loro abitanti. Tanto che, guardandole, ha l'impressione che il vuoto attorno sia qualcosa di infinitamente più ordinato, più minutamente organizzato di quanto potrebbe mai immaginare: come una trappola complicatissima per tenere lontane le incertezze e le vergogne, eliminando ogni serietà dai fatti della vita.

Dice che in quella trama poco seria il tempo è solo tempo e basta, tempo senza più tempo perché non va da nessuna parte; e gli abitanti, poveretti, presi in quella trappola, sono diventati così confusi che viene loro un rigor mortis da attesa al minimo contrattempo.

Certe sere nei suoi vagabondaggi si ferma in un bar sulla piazzetta di San Daniele. C'è sempre una fila di ragazzi seduti all'estemo del bar, che ascoltano il juke-box stravaccati sulle sedie con aria sognante. E guardando quei ragazzi, non sa perché, le vengono a noia tutte le sue opinioni e giudizi su ciò che vede, sulle villette residenziali e i loro abitanti. Più nessuna voglia di giudicare niente, che passi tutto, che vada dove deve andare; in fondo, dice, è solo tempo che passa.


VIVENZA D'UN BARBIERE DOPO LA MORTE

C'era un barbiere che era venuto a Piacenza a fare il militare, all'epoca in cui questa città era piena di caserme e conseguentemente piena di militari per le strade. E questo risale al tempo di guerra, quando il barbiere ha conosciuto una ragazza di Piacenza e l'ha sposata. Fatto prigioniero dai tedeschi e mandato a lavorare in Germania, solo qualche anno dopo tornava il barbiere nella città della moglie, dove apriva un negozio di barbiere. La moglie avviava una attività di parrucchiera sopra quel negozio di campagna.

Passa il tempo e una sera tornando a casa il barbiere crede di vedere sul pianerottolo un amico che non c'è, anzi è morto da un bei pezzo in Albania. Confida il fatto alla moglie e questa lo consiglia di andare all'ospedale per farsi curare, siccome lei non se la sente di stare con uno che ha le allucinazioni. Il barbiere accetta e viene ricoverato in manicomio.

Rimane in manicomio per circa un anno e in seguito per altri due anni, poi finalmente è dimesso e rimandato a casa.

Intanto sua moglie ha trasferito sia l'abitazione che l'attività di parrucchiera in città, dove ha aperto un negozio; dunque è in questo negozio che un bei giorno si presenta il barbiere.

La moglie gli dice che lei non se la sente di prenderlo in casa, siccome lui è appena uscito dal manicomio; la faccenda è troppo fresca, e lei vuoi essere sicura che il marito sia tornato ad essere veramente sano e non abbia più nessuna allucinazione. Il barbiere accetta e torna a vivere nella casa di campagna, sopra il vecchio negozio.

Nei mesi che seguono l'uomo non dà segni di squilibrio e non parla mai di nessuna allucinazione; di tanto in tanto prende la bicicletta e va in città a trovare la moglie, ogni volta chiedendole se è disposta a riprenderlo a vivere con lei.

La moglie mostra di avere sempre meno tempo da dedicargli, perché molto impegnata nel suo lavoro di parrucchiera; finché una volta per tutte gli chiede di non venirla più a cercare.

Il barbiere accetta, ma dopo questo fatto comincia a pensare che sua moglie gli neghi l'esistenza. E lo spiega ai clienti che vanno a farsi tagliare i capelli da lui, nel suo vecchio negozio di campagna, dicendo che sua moglie gli nega l'esistenza e questo lui non può accettarlo.

Comincia anche a pensare che tutti gli neghino l'esistenza come sua moglie, cioè mostrino di non considerarlo vivente, per le strade, nei bar, negli uffici. Ritiene che ciò dipenda da un fatto avvenuto durante la guerra, quando una notte in riva al fiume Trebbia un soldato tedesco gli ha sparato senza colpirlo. Evidentemente tutti credono che quella volta il tedesco l'abbia colpito e ucciso, quindi che lui non sia più vivente da un pezzo.

Dopo essersi formato questo convincimento, comincia ad andare ogni domenica a frugare il fondo sassoso del Trebbia con una retina da pesca. Fruga il fondo sotto la riva dove quella notte il soldato tedesco gli ha sparato, cercando il proiettile che quella notte, non avendolo colpito, deve essere finito sul fondo del fiume.

Ai clienti parla d'una cosa, persa tra i sassi del Trebbia, a cui è legata la sua vivenza: non usa mai la parola "vita", parla sempre della sua "vivenza".

Vedendolo ogni domenica nell'acqua scrutare il fondo del fiume, i pescatori sul Trebbia a volte per ridere gli chiedono se cerca le prove dell'esistenza di Dio. Ogni volta lui risponde: "No, cerco le prove che esisto io."

Alcuni mesi dopo la morte del barbiere sua moglie si è scoperta incinta, e ha sparso la voce che aspettava un figlio del barbiere morto. In seguito ha anche sparso la voce che il barbiere le aveva parlato di notte, dicendosi molto contento che lei avesse riconosciuto il figlio come suo, perché così aveva smesso di negargli l'esistenza.

Secondo la donna il barbiere le avrebbe parlato di notte molte altre volte, sempre sostenendo che la sua vivenza non era ancora finita. Finché lei non s'è risposata e trasferita in un'altra città, e da allora il barbiere non ha parlato più.


Gianni Celati, Narratori delle pianure. Milano, 1985.
ISBN 88-07-81027-1, pp. 46-49 e 38-40.
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano